Ieri sera sono sceso a fondovalle per andare alle prove del
gruppo di musica a ballo che stiamo mettendo insieme, ormai da un anno, con
alcuni suonatori dei maggiaioli. Dopo la grande nevicata e il freddo intenso
oggi durante il giorno la temperatura è finalmente risalita sopra lo zero,
anche se la parte alta della strada di casa, con la curva ripida esposta a
nord, è rimasta impraticabile per ghiaccio e neve. Ho lasciato la macchina dopo
il guado ma prima del ponte.
Quando sono sceso con zaino e custodia dello strumento in
spalla (mandolino e bottiglia di vino, con qualcosa da sgranocchiare durante la
cena in compagnia) era buio pesto - sono arrivato all'auto che erano le sei
passate, e la strada asfaltata risultava ormai perfettamente sgombra. Soltanto
sul bordo gli ultimi rimasugli della neve scostata dallo spazzaneve.
Piovigginava, e l'aria era densa di umidità. Andavo piano, scendevo seguendo le
curve senza fretta, ma subito dopo il rettilineo alla fine del paese mi sono
ritrovato dietro a un vecchio camion scoperto, che emetteva una nuvola di fumo
azzurrino e puzzolente. Non un nuvolone insopportabile, ma abbastanza da farmi
sentire in un mondo passato, che oramai si incontra sempre di meno. La campagna
era nera, perché nera appare la terra dopo che sparisce la neve, nera era la
strada, e così l'asfalto luccicante, e la notte. Anche la luce arancione dei
lampioni sparsi qua e là a segnare le abitazioni della valle, non faceva che aumentare questo effetto (il giorno dopo Santa Lucia,
pensavo). Il camion era vecchio, e sembrava senza targa. Come capita in questi
casi mi sono fissato a guardare l'asse delle ruote posteriori, con al centro
quella specie di rigonfiamento imbullonato che potrebbe essere il differenziale
o la trasmissione. Chissà quante migliaia e migliaia di chilometri aveva fatto. Si sa, i camion sono quasi indistruttibili. Era un'immagine, tutto quello che
vedevo, che poteva benissimo essere di un inverno di vent'anni fa, e per me, che da parecchi
giorni non lasciavo casa, era come non ritrovare le coordinate del presente, ritrovarmi in
un tempo diverso.
Non smaniavo per superare il camion, come invece
l'attualissima macchina alle mie spalle, che mi mordicchiava aggressiva il didietro, e che appena possibile ho lasciato passare. Seguivo il camion, godendomi
quell'attimo che sembrava uscito da chissà quale fumetto torvo di china. Anche perché sapevo
che in breve sarei arrivato alla botteguccia di San Bavello, dove volevo comprare un pane (loro hanno quello
buono, cotto a legna, e un pezzo da un chilo costa 2 euro e poco più). Ma prima che iniziassi a congedarmi dai
fanali posteriori (ormai sbiaditi e gialli) del mio camion, prima che avessi il tempo
di iniziare a rallentare all'iingresso del rettilineo con la bottega, ecco che
anche lui frena. Ci fermiamo insieme, io subito dietro, penso anche lui viene qui.
Forse per un bicchiere di vino, è una vecchia locanda. Cerco il denaro, e
intanto guardo davanti a me il cassone di alluminio da trasporto. La targa
tutta inzaccherata, si rivela di Firenze. MI verrebbe voglia di dirgli di far
dare un'occhiata alla carburazione, che la sua carretta ci avvelena come una
centrale a carbone - ma mi trattengo, un po' per rispetto dell'anzianità del
mezzo, un po' perché in fondo convinto che l'autista lo sappia benissimo.
Scendo, e vedo che il cassone umido, come umido è tutto nella notte qui fuori,
è vuoto e sporco di legna. Scopro che nel frattempo qualcuno è sceso dal lato
del passeggero. Mentre ci passo accanto vedo una donna involtolata in un
cappottone nero e un ragazzino di dieci anni. La portiera è aperta, lei è di
profilo, rivolta verso l'interno dell'abitacolo. Intravedo una figura in ombra al posto di
guida. L'uomo e la donna si parlano, il bimbo si agita e si guarda attorno, io
spingo la porta ed entro. In bottega c'è luce e caldo, la signora sta servendo
qualcuno ma c'è libera la figlia, che non ricordo di avere mai visto ma che le
assomiglia come una goccia d'acqua - come doveva essere anche lei vent'anni fa.
Saluto, schivo come sempre con chi non
conosco, prendo il mio pane (ma con la signora, o anche col marito, quando ho
tempo mi fermo volentieri a scambiare due chiacchiere), pago ed esco. Li ho
appena intravisti uscendo, erano dietro di me: il bambino ha un piumino azzurro, la
donna è una donna bella, giovane e pallida, alta e con tratti gentili, la testa
avvoltolata in una sciarpa come si usava negli anni cinquanta. Fuori guardo di
nuovo nella cabina del camion (è un Lupetto della OM, o Fiat che fosse già
diventata, rosso, e comunque un camion dei miei anni verdi), e nell'ombra vedo
un uomo con il braccio appoggiato al volante, mezzo di traverso. Ha un beretto schiacciato
in testa, la barba nera e lunga di qualche giorno, sembra anche lui uscito da
un film di cinquant'anni fa. Ma è giovane, non ha più di quarant'anni. Che
impressione mi fa. Una famiglia che viaggia in discesa dal passo del
Muraglione, su un vecchio camion, in questa serata prenatalizia buia e gialla
di luci. Come se fossimo nel dopoguerra: un tempo per me vissuto soltanto come ricordo altrui, salvo rari attimi d'allucinazione come questo, o gli sconfinamenti nell'Europa dell'Est, quando c'era. Torno alla mia
macchina metallizzata che mi appare improvvisamente incongrua come una proiezione del futuro, e penso a questa
impressione, che da un lato va a ripescare nei ricordi di una giovinezza da
tempo non frequentata, e dall'altro appare come un fantasma e una premonizione
di un mondo che verrà (La strada, di McCharty?). Non so perché (forse l'ambientazione notturna?) mi viene
in mente il tenente Colombo nello spiazzo della Potsdamerplatz, che incontra
Bruno Ganz, ancora angelo: lui senza vederlo lo sente aleggiare vicino, gli
tende la mano e gli dice: "allora come va, compañero?”
Le foto sono dell'8/12/2012, ieri sera non avevo nulla per scattare.
Quella in apertura mostra cosa si vede dalla porta dell'ingresso nuovo, la seconda da una delle finestre della cucina, che dà sul Falterona. Questa qui invece mostra l'alloro di Ueli, un bel po' piegato dalla neve (ora si è ripreso).
Grazie Luca
RispondiEliminaGrazie per questa piccola gelida minuta storia...chissà dove sarà andata, quella famiglia...
RispondiEliminaChe bel regalo! Sono in viaggio sulla Piacenza Bologna e leggendo il tuo racconto mi vien voglia di abbandonare l'autostrada o di scavare sotto il manto per ritrovare le antiche tracce dei lenti viaggiatori.
RispondiEliminaGrazie Luca
Antonio B.