venerdì 18 maggio 2018

Where are all the insects gone? Ovvero: lo sterminio degli impollinatori



Trovo un'oretta per tornare su un tema che mi assilla, ora che mi occupo di api selvatiche.
Settimana scorsa sono stato a Milano, come mi capita periodicamente. Il condominio dove mia madre ancora vive è lo stesso in cui sono cresciuto negli anni'60-70 e, apparentemente resta tale quale. Alcune cose in questi cinquant'anni però sono cambiate: il giardino, per esempio, ha piante bellissime, che se non venissero potate sarebbero ormai mature e possenti.
La cosa particolare però è che da un paio di stagioni - da quando mi occupo della condizione delle api e ora anche degli impollinatori in generale - noto che non ci sono più insetti. Metà maggio, giornata calda, ventisei gradi: il trifoglio è in fiore, rigoglioso. Osservo il prato per cinque minuti e non noto NEMMENO UN INSETTO che ci vola. Nessuno che ne raccoglie il nettare. L'inverno è stato freddo, ma anche a Montaonda: eppure lì è pieno. E non è la prima volta, ripensandoci, che me ne accorgo.

Come si sentirà, mi chiedo, il trifoglio? Come farà a riprodursi, se non riesce a produrre semi? E come lui chissà quante piante (in pratica tutte le fanerogame non anemofile, quelle che hanno bisogno di insetti pronubi, a cominciare dalle orchidee).
Vado a spasso con mia madre nel vicino parco Montestella. Niente, neanche lì: è vero, mi ripeto che è stato un inverno rigido e le gelate primaverili hanno probabilmente ammazzato larve e pupe. E che mangiano gli uccelli? Piccioni e cornacchie: avanzi. Altri uccelli? Boh, chi ne vede; forse anche per questo non ci sono più le rondini. Il fatto che nidificassero vicino alle abitazioni era forse la garanzia che ci fossero tutti gli insetti attratti dallo sterco degli animali. E ora? Vi siete mai chiesti cosa mangia una rondine? (forse è il caso di leggere Primavera silenziosa di Rachel Carson, uscito più di cinquant'anni fa...).



Faccio un giro al nuovo parchetto nell'area ex-Portello (quando ero bambino dalla fabbrica dell'Alfa Romeo uscivano i treni carichi di macchine nuove...). Guardate nella foto qui sopra di CasaMilan (!?) come viene gestito ora il verde nelle città:  già, perché come si riproducono ora le piante, visto che gli impollinatori non ci sono più? Nelle factories, le fabbriche biologiche di piante chiamate vivai, eccole qua, nate e cresciute senza conoscere un insetto (saranno piene zeppe di pesticidi sistemici, così non c'è rischio che prendano funghi, o altri parassiti). Il verde, nonostante tutte le menzogne che ci propinano viene considerato soltanto un "arredo", che si mette e si toglie, come il trucco quando si esce in società. 

Che la città moderna sia la demenza istituzionalizzata, la nullificazione dell'uomo, l'avevano già capito tanti - voglio ricordare solo Tatì - ma almeno si può ridere: guardate dove vengono messe oggi le panchine, dai nostri urbanisti progettisti paesaggisti, per ammirare il traffico che gira attorno alla rotonda di sbocco del nuovo tunnel autostradale dietro CasaMilan, e CasaLG, sempre al Portello. 
(Ed ecco ribadito perché Milano, nonostante i molti affetti, la mia città, oggi mi fa schifo).   


Per me la sensazione è piuttosto agghiacciante. 
Torno a Montaonda, e da oggi la considero e la nomino «Santuario e Rifugio degli Impollinatori» (intanto spero che Elisa Monterastelli riesca a terminare il libro su di essi che sta scrivendo per noi, vorremmo vederlo in commercio prima dell'estate). Qui a ogni colpo d'occhio trovo bestie ovunque: voli di farfalle, calabroni, maggiolini, grilli e pulci e zecche, per non parlare degli uccelli - zampettii, salti e strisci di bruchi, scorpioni, stercolari, moschini e ragni ovunque, anche quelli volanti (mi hanno spiegato biologi che alcuni ragni lanciano queste bave lunghissime nell'aria e si fanno trasportare come da liane nel vento, per colonizzare territori anche a chilometri di distanza - arrivassero mai a ripopolare Milano!) e tutto l'armamentario della natura dispiegato.
Guardatelo qui sotto, com'è fatto il verde selvatico (per voi testimoniato in fotografia, per me Gaia Vivente). I soliti cinque metri da porta di casa Montaonda: questo è l'anno dei lampascioni, quei fiori blu che sembrano marziani, le cipollotte amare tanto amate al sud Italia).

Sorprendente per me resta che in città del degrado biologico pare non accorgersene nessuno (ma forse qualcosa sta cambiando, vedi la campagna contro la plastica), e mi sento un po' Marcovaldo. Ho provato a chiedere a un paio di persone. Lì è normale che nelle case non ci siano formiche e mosche, pare che ormai anche le zanzare siano (con grande sollievo) sterminate.
Quindi non si tratta più soltanto delle api (che per inciso in città capita di vedere più di altri insetti perché protette e ospitate dagli apicoltori urbani), si tratta del funzionamento dei meccanismi naturali. Che si stessero brevettando dei droni impollinatori qualche anno fa sembrava una barzelletta, ora è una realtà, la notizia è vecchia di qualche mese.

Ah, il titolo viene da una vecchia canzone di Pete Seeger, antimilitarista, e parla di fiori (in breve: finiscono nei cimiteri dove sono i soldati caduti) - non siamo tanto lontano, quello che lui non aveva previsto era però lo sterminio chimico-sistemico ultranazista attuale. Erano gli anni della Carson, era l'America dei "diritti umani". Ora i "diritti della natura", dopo una buona partenza, sembrano tornati dietro le quinte.
E noi siamo qui, proprio sulla soglia dell' «inarrestabile declino biologico» (vi ha mai parlato qualcuno di questo concetto? Può darsi, allora è segno che non l'ho coniato io ora, evviva).