L'autunno è maturo, il bosco ormai fradicio e la stufa
funziona a pieno regime. La mattina il sole sorge giallino e la giornata è
breve. Di queste cose mi accorgo quando torno dalla città, con più forza,
perché ogni volta devo riconquistarmi il diritto di stare qui. Le mura sono
fredde, i gatti affamati, cambio i vestiti e gli orari, e in realtà anche
l'alimentazione. Due tre giorni, e mi assesto. Riprendo i lavori, riprendo a
suonare qualcosa. Esco poco, vedo pochi, cerco di portarmi avanti col lavoro, che
ce n'è sempre una montagna, sia intellettuale che fisico. Sto preparando un
libro sugli alberi, sono pronti, spero per Natale, due libretti di carattere
uno "letteratura agreste" e
l'altro "Storie dal XXI secolo", più naturalmente un nuovo libro
sulle api, da presentare alla fiera di marzo.
Tutto questo dovendo occuparmi (male) anche della comunicazione e
distribuzione, perché Basilio mi aiuta moltissimo con il magazzino e le
spedizioni, ma tutto il resto dipende ancora da me (salvo la Grafica!). E vorrei che così
rimanesse, perché non ho mire espansionistiche, anzi se mai riduzionistiche
(spero, un sospetto, che il benevolo lettore abbia ancora sufficiente fiducia
in chi scrive per sorridere a queste ironie, senza prenderle per svarioni,
visti i tempi in cui si naviga), vorrei fare sempre meno, ma meglio, e che la
gente lo capisca. In soldoni, fare pochi libri ma venderli tutti. Ahah, davvero
spiritoso.
Ogni volta che torno dalla città mi tiro fuori, così come
ogni volta che ci ripiombo (altra ironia lessicale) ne vengo fagocitato e perdo
prospettive, cieli e distanza. In città è tutto stretto, appiccicato addosso,
ansiogeno. Qui in campagna puoi crepare di solitudine, tra l'indifferenza dei
selvatici, ma almeno puoi cadere bello e disteso, lo spazio non manca. Dalla città vengo con carichi
di preoccupazione, dopo aver visto, contro ogni mia volontà, spettacoli
indecenti (a piene mani - ci sono anche qui, chiaro, ma la tossina umana è parecchio
diluito e non risulta altrettanto letale), raccogliendo per fortuna il miele di chi mi
vuol bene e apprezza - pochi ma buoni, come si diceva. Ed ogni volta li incito,
venite a trovarmi, venite a ritrovarvi, non che Mo possa fare miracoli, ma
andarsene dalla città, cambiare aria, anche per un paio di giorni, può fare
bene. I milanesi ben sanno di che parlo, loro vivono per necessità il weekend come valvola di sfogo,
ricarica pneumatica (in senso alto), necessario per rigettarsi nel Mar Asma.
Ecco, immaginino, un we permanente - non è incredibile?
Certo il 2012 è stato per molti aspetti un bell'anno di
merda, iniziato e finito tra dolori e fatiche, posto che siano finiti. È come
se ci (mi) avesse fornito un assaggio di quel che mi aspetta, una prova
generale, e forse si potrebbe anche teorizzare un inizio della fine (anche se,
come dicevano i saggi un tempo, l'inizio è certo nell'esser nati). Restano
spazi di manovra, siamo nel fango, le ruote slittano, ma ancora si riesce a
governare, a tirarne fuori la ghirba. A maggior ragione dunque, conviene godere
di quel che c'è di gustoso, la famosa ciliegia (o fragola, chi ricorda più)
sopra al precipizio. Volendo ben vedere di ciliegie di questo genere ne ho
fatta una scorpacciata, e non me ne dispiace certo, perché davvero sono le più
saporite. È il prezzo che si paga per gustarle... Per dire: qui ci siamo fatti una scorpacciata mai vista di funghi, quando si credeva che fosse ormai
tardi, in dieci minuti ne abbiamo trovati un cesto pieno, in marroneta, il
giorno che con la Orni (è lei la Grande Trovatrice) siamo andati a
salutare la Gabri che raccoglieva i marroni; quasi che la Natura volesse farci
capire io prendo e io dò, l'estate è stata secca, e ora voilà, faccio come mi
piace, i più bei funghi che abbia mai visto, tutti sanissimi - chi c'è c'è e
sarà servito come un re. Bisogna saper aspettare pazienti, saper cogliere il
frutto, non come nella società dell'uomo, che lavori lavori e tutti ti dicono
bravo, ma poi i meccanismi sono tali e talmente intricati che è impossibile cavarne di che campare, non
restarne schiacciati. Di riffa o di raffa, tutto scade prima che tu te ne accorga. E tocca pagare la mora. Eppure la verità potrebbe essere un'altra - fate la prova, ieri ho ammollato dei ceci scaduti: stanno germogliando... tutti!
Nella società degli uomini i conti
non tornano mai, ci sono sempre delle trattenute non dichiarate, non previste,
non annunciate, e quello che resta è quanto basta appena per tirare avanti
(e ancora non so davvero). Di per sé niente di male, non fosse che ci sono
quei ladroni istituzionali che si succhiano tutto, e ci costruiscono grattacieli
e mastodontiche porcherie inutili e anzi dannose, con il sottratto alla tua fatica.
Dico così perché uno arriva qui, in luoghi eremitici, e si
illude di potersene scappare via da certe cose, e riempirsi gli occhi di altre, e invece, proprio qui sei più
vulnerabile: qui, se ti si rompe la macchina sei davvero fregato, in città puoi
sempre trovare alternative. Qui non gli amici ma loro ti vengono a trovare, perché la luce l'acqua e
tutto il resto - sotto forma di pecunia e suoi legami - ti viene amministrato,
secondo canoni che non sono gli stessi che adotti tu (come lo taglierei volentieri quel filo che attraversa la mia finestra!). Comunque esisti come
vogliono loro - a meno di sparire. E quindi, resta l'ammirazione per tutti coloro che vivono la
campagna in modo autarchico (e sono sempre di più) ma a ben vedere questa
autarchia ha le gambe corte, perché senza appoggio, senza sostegno di amici,
parenti, capitali, turisti, compromissioni che non voglio prendere in esame, la
vita sarebbe ben dura (e lo vedo, in chi ci prova, che resta presto senza
denti, se non senza pane). Io vorrei continuare a potermi curare dal dentista che
scelgo (e quest'anno m'è andata male). Insomma non illudiamoci, tagliare i ponti non è possibile se non per fare la fine del cretino di Into the wild (il film tratto dal libro di Krakauer).
Vabbe' la tronco lì, non vorrei che apparisse una lamentela, in realtà è soltanto uno sguardo disincantato sul mondo della pianura visto dalla montagna. In realtà avrei anche molte altre cose da
raccontare, e anche splendide, tutta l'estate, il primo autunno, anche in America sono stato!
Forse nei bollettini successivi, se riesco a recuperare un ritmo, vedremo. L'importante era ripigliare a raccontare, poi si vedrà.
Le foto (come al solito se cliccate si allargano) scure di questo bollettino sono scattate dalla finestra
della camera da letto, lunedì 12 novembre. I colori sono dovuti in parte al
paesaggio, in parte alla bassa esposizione e al tramonto sopra le nuvole, che
irradiava il riflesso del sole calante sulla valle come un grande ombrello
rosso... insomma, di questi tempi occorre dire che non ho ritoccato nulla. Le altre due chiare sono invece del 30
ottobre, quando è venuta quella prima ondata di maltempo a dirci che l'estate
era finita. Stavo spaccando la legna e il cielo si è aperto all'improvviso
mostrando queste meraviglie biancoverdiazzurre, così sono corso a prendere la macchina fotografica.
Ehi Luvi, che libro sugli alberi stai preparando? sono curioso....
RispondiEliminaPaolo-san
top secret, almeno fino a che non siamo pronti per la stampa... te lo dico in privato!
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