venerdì 6 luglio 2012

Bollettino n.35: Estemporaneità



Ora mi sembra, mentre leggo e bevo birra sdraiato sul letto in mutande (e penso che non è affatto una cosa da adolescenti, e per convincervi mi sembra adattissimo ricordarvi Bukowski), docciato dopo avere iniziato a imbiancare casina nuova (l'appartamento sul retro - sta per iniziare il conto alla rovescia), e quindi alle 19.30, dopo un temporale e prima che domani arrivi la Orni, insomma: come una rivelazione mi accorgo di fare finalmente quello che ho sempre voluto fare, da quando avevo 14 anni (cioè leggere bevendo birra in mutande sul letto). C’è voluta una vita, e mi chiedo perché mai ho dovuto traversare tante peripezie, come Ulisse, per arrivare a “casa”? Avrei potuto non muovermi? (Intanto vedo dalla finestra aperta che ancora piove, ma contro il sole).
Penso che sono solo ma dovrebbero esserci tutti i miei amici, e massimamente quelli dei tempi andati, perché questa è la festa della mia vita, il compimento. Parlare con loro, dirglielo. Forse loro sapevano che tendevo a questo? E in un certo senso loro ci sono, se sono capace di pensarli. Come in un senso diverso ma simile, mi dico, ci sono tutti quelli che ho incontrato e conosciuto, anche se non lo sanno. Se penso a loro, sono qui con me, a bere birra e a scrivere su un taccuino, a chiacchierare. Com’è possibile? Certo. Per esempio se parlassero, la zia direbbe cosa fai sul letto, mio nonno starebbe zitto, e anche mio padre. Altri farebbero altre cose, perché agirebbero, come fanno i vivi. Ma tutti, è questo che mi chiedo, anche tacendo, mi guarderebbero con approvazione? Capirebbero? E forse – attenzione - è anche per loro che ho dovuto fare tanta strada, per dimostrargli che starsene su un letto a bere birra in mutande può essere il traguardo di una vita (vabbe’, sto anche leggendo un libro di Gary Snyder, A Place in Space, sarà il suo riverbero che mi investe?). Tornando al dato: non è la felicità come la immaginavo da ragazzo, quando stavo sul letto in mutande a leggere e mi mancava tutto (magari leggevo Kerouac, magari c’era pure la birra). Ora non mi manca niente, ho "tutto" quello che mi serve (almeno, che mi serve ora). Ma questa tranquillità, questa fiducia che mi sento addosso, dopo anni e anni di dubbi e ansie, di fatiche e tormenti, è anche più della soddisfazione. E proprio in questo sta, nel fare quello che tutta la vita si è sognato di fare. Da qui, sento adesso, potrei non muovermi più (anche se so già che tra pochi giorni mi rimetterò in strada). E arrivarci alla realizzazione, quando è una cosa così, invece cioè che diventando il capo del mondo o un uomo di successo (quello sì che è un sogno da adolescenti), non è una conquista, è molto di più, è una grande liberazione.




(C’era una canzone di Nick Drake, A place to be, che non conoscevo; ma quando, credo nell’87, ho fatto il mio ultimo concerto da mixerista del gruppo che era il “mio” gruppo e si chiamava Weimar Gesang, all’Actor’s Playhouse di Milano, ora di nuovo Cinema Ducale, ecco che mi hanno fatto questa canzone fuori programma, alla fine, che non avevo mai sentito, arrangiata un paio di giorni prima in sala prove. Era bellissima. Paolo cantava con una voce tesa e lamentosa da far scoppiare il cuore, Fabio era un’eco misteriosa e la chitarra di Cesare entrava con un arpeggio sospeso, di tre note che si rincorrevano, un suono spettacolare. Molto più bella di quella originale, che poi ho sentito anni dopo. La cassetta che mi ero fatto fare dal tecnico dell’impianto la troncava a metà dello stacco di chitarra dopo la prima strofa. Quella canzone loro non l’hanno mai più registrata e io, dieci anni dopo, quando sono tornato a Milano e ho incontrato Paolo, quando lui me l’ha chiesta gliel’ho data, e nonostante tutte le promesse e i giuramenti non l’ho mai più riavuta. Ma non mi serve, ce l’ho ancora in mente, viva e presente).



(questo non so proprio  che insetto sia - a chi lo sa identificare sarò grato - me lo sono trovato in casa e l'ho messo fuori,  l'ho chiamato Polverino)


4 commenti:

  1. ciao il tuo polverino potrebbe essere un emittero forse un coreidae, suggerisce mio marito, ma bisognerebbe vederlo non insabbiato...se lo ri-incontri posta la foto!!!

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    1. Grazie Maria Elena. Io mi ero convinto che fosse proprio così, con questa copertura, a scudo e mimetizzazione. Mi pare ricordare di averne già visto uno anni fa. Comunque ci starò attento.

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    2. nel corso dell'estate ne ho visti molti, dentro la casa nuova: e sono tutti così ricoperti di polvere - forse mangiano cemento, e quella specie di carapace ha funzione mimetica?

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  2. Ma no...nessun insetto! E' un Montaondiano, creaturina aliena che vive ormai da anni in quelle lande in quota. Il problema non è come si chiama, i montaondiani non hanno un nome, la questione è come si fa chiamare. Di questa specie ne conosco solo un altro, mimetizzato diversamente, che si fa chiamare Luca. :-)

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