venerdì 28 dicembre 2007

Bollettino 6: Invece degli auguri



ormai è proprio arrivato l’inverno, le foglie degli
ulivi (quello che si vede nella foto è proprio sotto
casa, schermato da rami nudi di ailanto e dalle bacche
rosse del Cappello di cardinale) hanno preso la loro
sfumatura invernale argentata, che mi ricorda tanto
mille piccole stalattiti di ghiaccio. Ieri sera
andandomene ho voluto mettermi alla prova: computer in
spalla, sono sceso fino alla macchina che avevo
lasciato al laghetto – 500 m di sterrato ripido, con
bosco e passerella sul torrente, al buio. Naturalmente
avevo la pila, ma ho cercato di accenderla soltanto
nel tratti necessari, per evitare le pozzanghere e
illuminare la passerella sul torrente che ha le assi
un po’ sconnesse. Il bello di qui, continuo a
ripeterlo, è che quando diventa buio è buio veramente.
Le uniche luci sono quelle dei casolari sparsi – tre o
quattro in tutto, sparse nel panorama. Ieri sera il
cielo era coperto, niente luna. Ma per quanto nera sia
la notte non è del tutto buia, ma è popolata di ombre
– per i greci l’oscurità annullava ogni distanza e
certezza. Per me è stata anche una specie di piccola
sfida, per esorcizzare i mostri notturni che popolano
i boschi della mia mente. Niente di particolare, solo
farlo per dimostrarsi di essere in grado di farlo. Ma
anche ragionevolmente: farlo per imparare a farlo. E
non è stato del tutto semplice, non tanto per la prova
in sé, che avrei potuto affrontare con la spavalderia
di un ragazzone (conosco ancora il passo basso e
molleggiato sulle ginocchia del montanaro che avanza
in discesa coi piedi a tentoni), ma per il fatto che
quella è e sarà la strada di casa. Questo vuol dire
che la strada di casa è proprio quella, e non altre.
Non è affatto una tautologia. Come per abitare in un
castello bisogna abituarsi agli spiriti. E la sera che
sarò stanco, ubriaco, col mal di testa o
febbricitante, non potrò chiamare un taxi, e se la
jeep sarà rimasta su, perché alla partenza mi sentivo
spavaldo, o se il tempo è cambiato e c’è tempesta, se
la strada sarà ghiacciata o pioverà a catinelle, se
avrò dimenticato la pila, ecco che mi toccherà farla a
piedi in condizioni più impegnative. Proprio come in
un racconto di un romantico. E tutto questo (poiché,
oltre che nelle ipotesi ragionevoli non rientra
nemmeno nel mio programma estetico) senza preoccuparmi
di imboscate di giovani degeneri e drogati, di vicini
impazziti, di rumeni feroci che mi aspettino appostati
dietro la soglia di casa mia con la mia scure, per non
parlare di lupi e orsi assassini, del babau e di
Belzebù. No, è un esercizio fisico, al più
psicofisico, tastare per scoprire dov’è il limite,
prenderci confidenza. Una volta avevo letto che
abbiamo bisogno di 29 giorni per adattarci a un nuovo
ambiente abitativo, ovvero per muoverci con agio,
senza pestare negli spigoli, saltare gradini fatali,
trovando gli interruttori a colpo più o meno sicuro.
Qui, visto che sia i gradini che gli interruttori e
gli impicci in generale sono parecchi, ci vorrà credo
di più. E quindi mi esercito, dentro e fuori casa.
L’operazione richiede una certa attenzione: appena si
abbassa la guardia, ecco che pronta arriva la legnata.
Proprio l'altra sera tornavo dallo stalletto con una
bracciata di legna e rientrando dalla porta sul lato,
dopo avere ben strofinato le scarpe sulla pietra
davanti alla soglia, ho pestato una solenne capocciata
contro l’architrave. Non avevo guardato, non mi ero
ricordato che è più basso di me. Niente di rotto, ma
come questo so che qualche altro disastro dovrò
affrontarlo. Lo stesso ieri: tagliando la legna con la
motosega, mi accorgevo di quante manovre sbagliate
facevo, di quanta attenzione ha bisogno un inesperto
come me. Perché a parte l’attenzione ovvia per la lama
in movimento, ci sono mille particolari, a cominciare
dal non inciampare nei ciocchi di legno ruzzolati a
terra, al non poggiare la motosega sui pantaloni,
perché li macchia d’olio. In ogni cosa, quando si vive
fuori dalla vita cittadina e moderna, fuori dall’agio
del “riscaldamento acceso con un dito”, quando si ha a
che fare direttamente con le cose e non con
mediazioni, bisogna imparare a contenere l’impeto,
prevedere con la mente dove ogni gesto finisce e
soprattutto non stizzirsi o abbandonarsi. Convivere
con un rischio vicino e diretto, che non è il
terrorista che fa saltare la stazione della
metropolitana. Un’altra forma di misura, perché qui le
cose si fanno direttamente, ciascuno per sé. Non si
gioca sulla tastiera del computer, ecco, checchè da
questi bollettini ne possa sembrare.
Insomma, eccomi qui, alla fine d'anno che sto
prendendo le misure, e ancora ne manca. Per esempio,
il telefono: mi hanno controllato la linea palo a
palo, funziona benissimo, però non ci sono più linee
disponibili alla centralina, e mi hanno rimandato al
15 di gennaio. Amici ben informati sostengono che è
tutta una presa per il culo, e il telefono fisso non
me lo daranno mai. Ma credo che farò l'abbonamento al
padellone, wi-fi flat a banda larga, costa ma ne vale
la pena - dovrebbe arrivare a fine gennaio.
l.

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