Da un po’ di tempo, più o meno da che mi capita, per una
ragione o per l’altra, di guardare i libri con particolare attenzione per il
loro aspetto materiale, sporgendomi cioè più in là del margine della copertina e
della carta che essa racchiude, considerandoli anche nel contesto e nel luogo in
cui si trovano (qualche esempio di queste osservazioni le ha pubblicate negli
anni il blog Cartaresistente), noto accostamenti fortuiti in cui leggo
significati che mi fanno pensare a impreviste corrispondenze. Al punto che mi
viene ormai da considerarli veri e propri eventi di sincronicità, tra ambiente e
libro, tra libro e libro, tra me e loro, e addirittura tra questi e i miei
vestiti (involucro meets involucro?).
Sarà un caso? Certamente. Non di meno, non posso non
rivelarle queste sfumature, che fanno sicuramente parte della “nuova (r)esistenza”
del libro cartaceo, oggetto che, da quando è stato liberato dal peso del suo
contenuto immateriale, è come sempre - inalteratamente - presente nella
matericità della sua esistenza fisica, che entra in molteplici relazioni in
questo mondo (e anche in quell’altro, ovviamente).
Oppure: non è evidente che le "affinità" si mostrano anche tra libri
e libri, o con altri oggetti, senza di noi (to autòmaton lo chiamavano i greci)? A partire dalle varie corrispondenze con altri
libri vicini ordinati in scaffale, siano di contenuto o di forma e colore, alle
cose poggiate a caso su un tavolino, in attesa di una mano che le e li prelevi? Quante volte abbiamo ritrovato un libro proprio lì, nel
posto dove ci aspettava paziente, per offrirsi a noi nel momento giusto?
Non è questa significativa casualità in fondo lo stesso
principio che anima l’I-Ging, il principio della casualità che si fa espressione
e ordine delle energie cosmiche?
Cerco di spiegarmi con un esempio, la foto qui sopra del libro di Funetta, su
cui ho appoggiato il mio attuale segnalibro, formato da un doppio vecchio filo di cotone
(reliquia di un fazzoletto ormai disfatto dal tempo). La mia memoria
(raccolta nel segnalibro, poiché il segnalibro non è che un simbolo del
procedere della nostra vita e della nostra memoria, “arrivata fin lì”) che
s’incontra con la grafica della copertina, per dirmi qualcosa. Vaneggio? Ma se siamo disposti a credere alla memoria delle
molecole d’acqua, perché non dovremmo pensare altri livelli di affini sintonie
cromatiche, di forma, a “simmorfie”, senza farne necessariamente presagi magici
da interpretare come i fondi del caffé, accontentandoci invece di leggerle come epifanie e manifestazioni casuali di un ordine che ci
comprende e trascende? Perché dobbiamo
stupire di fronte alle manifestazioni dell’infinito rapporto tra materia e
forma quando sorprendiamo le regole dell’accrescimento indicate da Mandelbrot in una gemma, nel
bocciolo di un fiore, nel germoglio di una felce - e non in un filo di cotone
poggiato casualmente su un libro – che traccia il disegno di una sacca, sorta
di pancia gravida che racchiude lo scheletro di un serpente, simbolo ctonio e dell'uovo
cosmico per eccellenza? Certo tutto è tutto e nello stesso tempo nulla – lo sappiamo:
e allora vivaddio, riconosciamolo anche, quando ci appare, nel volo di una farfalla come
nella copertina di un libro.
(qui sotto invece: quattro "cose" prese a caso da leggere sulla sdraio dopopranzo. Cosa mi dicono questi colori - cosa racchiudono queste pagine per me? Non c'è forse un senso - come hanno indagato tanti artisti del '900 - in ogni composizione?)
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