domenica 19 febbraio 2012

Bollettino n.33: Ritorno a casa



La funzione dell'inverno, anche per la società degli uomini, era mettere alla prova la vita. Ce ne eravamo dimenticati. Comprimerla e stressarla. Poi, se va bene, rinasce.

Che vuol dire? Si capisce quando si torna a casa in pieno inverno, dopo quasi due mesi di assenza. Si torna e ci si ritrova senz'acqua, con la casa a tre gradi e un tubino dell'acqua rotto dal gelo. È lì che ti voglio. Bisogna rimboccarsi le maniche e darsi da fare, altrimenti non ne vieni a capo.
Tutto quello che tocchi è gelido, il divano, le sedie... ma senz'acqua, le cose cambiano davvero. Quelle più elementari: pulire il tavolo di marmo dalle briciole, senz'acqua non è la stessa cosa. Alla fine ci passi la mano sopra, deve andarti bene così, ma non è pulito, non quel pulito cui sei abituato (e già io la spugnetta non la intrido di detersivi). Eppure. Ecco allora che si riflette sul pulito. Non ti lavi. Se devi puoi sciacquarti con la neve (finché si può: no grazie), fare i tuoi bisogni all'aperto, lo spazio non manca. Ma non ti lavi.
Metti la maglia di lana, e poi ti chiedi: quante ne ho, quanto posso cambiarmi senza lavare i panni?
L'acqua non c'è. Stanotte scendeva dalle gronde, ma quando smette di piovere finisce. Stamattina, quindi niente scorta. La neve è sporca, vecchia di più di una settimana: c'è sopra uno strato di polvere, rametti, qua e là tracce di escrementi dei vari selvatici. Berla? Meglio di no. Per cucinare scegliere bene il punto, togliere la parte sopra e poi filtrarla e bollirla. Un pentolone pieno di neve fa un litro d'acqua. Come gli alpinisti in quota. Come nel deserto. E intanto, mentre passa la giornata a fare queste cose che nella "vita normale" non capitano, ma che pure un tempo costituivano la norma dell'inverno per l'uomo, uno pensa.
L'inverno era, nella sua funzione storica, un esercizio alla sopravvivenza. Non teorico, pratico. Non una palestra, una prova sul campo, sotto tiro del nemico. Non uno scherzo, bastava un raffreddore. Il rischio era lì, mentre oggi, per i figli della città e del benessere, bisogna buttarsi sulle corse in macchina, gli sport estremi, le vacanze suicidali, per rischiare qualcosa. 
L'inverno però, come lotta, era più dura: durava mesi, non si poteva arrendersi e consegnarsi al nemico. L'inverno è un generale che non prende prigionieri. Per questo mi fanno riflettere tutte queste emergenze neve dell'Appennino. Anch'io ho amici, vicini, che vivono di là dal crinale dove s'è abbattuta la nevicata più forte, che sono rimasti isolati, con due, tre metri di neve. Non hanno chiesto nessun intervento della Protezione Civile. Quando arriva l'inverno si muniscono (munio, verbo che imparai alle medie, traducendo il De bello gallico di Cesare, munizioni, munizioni da bocca diceva mio nonno, che era stato negli alpini a fare l'ultimo scampolo della Grande guerra, e poi tutti i raduni annuali, locali, fino a che ha potuto). Cibo, foraggio per le bestie, legna per il fuoco, le medicine essenziali. Quando ero ragazzo e andavo a Devero col Mozzati, mi raccontava che lì, a 1600 m, d'inverno restavano in due, il Fattorini, che annegava la solitudine dei metri di neve nella piana dando fondo a bottiglioni di rosso, e l'Angelo, che gestiva il rifugio del CAI - finché non lo mandarono via, perché molestò pericolosamente una ragazza che era salita da lui fuori stagione per studiare in tranquillo isolamento. Shining: l'inverno può uccidere anche l'intelligenza, se ricordate la faccia di Nicholson nella scena finale (tra l'altro: nel bambino che falsificando le tracce svia il padre che vuole ucciderlo nel labirinto, c'è tutto un compendio di mitologia). Ecco, questi amici se ne restano tranquilli un mese isolati, forse anche di più, ed Elisa quest'anno è pure incinta (e non manca molto, credo!). Che tipa è? L'anno scorso, mi raccontava, tornava a casa di notte con il pickup, e c'era neve abbondante, a metà del bosco (7km senza una casa) ha trovato una pianta caduta in mezzo alla strada...
Insomma storie di neve e di piccoli eroismi di sopravvivenza qui è pieno, non è roba da tv e nemmeno da giornali; se ne parla tra di noi, si ammira, certo, ma sono le piccole battaglie di tutti i giorni, ognuno le sue. Bisogna stare attenti a non fare cazzate, dosarsi le munizioni, anche gli aiuti non possono sempre cavarti d'impiccio. Vedere e prevedere, aprire gli occhi. Giù, nel mondo tecnologico, queste misure si sono perse, e ci si impalla. Non dico che non si debba aiutare chi chiede aiuto, per nulla. Ma come dice un altro amico di qua, "belin, sei in montagna, che d'inverno nevichi è il minimo che ti devi aspettare, no?". Appunto: in che mondo vivi? In montagna o nella televisione? Nella tecnologia o nell'inverno? E se perdi il telefonino sei fatto? A questo vuoi affidare la tua vita?




Io la nevicata l'ho persa, sono rimasto a Milano per terminare un lavoro al calduccio e per festeggiare la madre che ha aggirato felicemente la boa degli 80. Quella di Elena, di madre, invece un paio di settimane prima ha passato i cento. Le mamme avanzano (i padri sono per lo più dispersi, con qualche valida eccezione), sembra quasi che restino solo loro. Alla fine dell'eroismo maschile (che è strafinito, ormai non c'è manco più bisogno di dirlo). Per combinazione leggevo l'ultimo della Pariani ("La valle delle donne lupo", che poi lei rivela essere la Formazza) che racconta la storia di una vecchia montagnina, da lei intervistata col magnetofono negli anni settanta. Donne di un tempo, testimonianze orali, mondi che scompaiono. Davvero scompaiono e davvero mondi, ricchi e complessi che oggi facciamo fatica anche a immaginarli - o ricordarli: quasi non avessi conosciuto bene mio nonno e sua sorella, Sep' e 'Tzina,  e visto quotidianamente i vecchi più vecchi e meno agiati di loro, quelli nati nell'ottocento, le donne vestite di nero - sempre, e chissà quanti erano gli strati di quei vestiti sformati, delle loro gonne a pieghe - con le ciabatte di corda, che puzzavano e puzzavano e puzzavano, anche a tre metri di distanza, in chiesa, al gelo, immerse in una nube invisibile d'odore di lana infeltrita dal sudore. Di età indefinibile, i capelli raccolti sulla nuca, con la pelle lisciata dal vento e dal freddo, le mani lucide, per il lavoro in stalla (c'erano ancora le stalle in paese, e passandoci davanti si doveva stare attenti a saltare da una pietra all'altra del vicolo). Parole oscure come l'inverno. Strame, stram, si chiamava.
Ora l'inverno è sconfitto dal riscaldamento che si accende con un dito (finché dura, abbiamo letto e visto "La strada", no?). La stufa, anche la mia tecnologica, richiede almeno un quarto d'ora di attenzioni - ma poi riscalda tutta la casa. La tecnologia ci aiuta, l'ho imparato quando stavo in Germania, e credo sinceramente sia stato quello a sviluppare la tecnica (coi suoi abusi) e la tecnologia: la guerra con l'inverno. Scaldavo l'appartamento col carbone, anche gli appartamenti avevano, per me italiano, un riscaldamento con qualcosa di industriale. Mentre al nostro sud nemmeno esistevano i termosifoni. Altro che progresso, non ce n'er bisogno. Arance e mandorlini - e freddo cane, quando arrivava. Tuttavia, appunto, oggi che la tecnologia ha stravinto, e i padri straperso, ogni tanto ricadiamo ancora nell'inverno. Quando arriva l'emergenza, salta un tubo, e restiamo senz'acqua. 
Allora si rimette in moto un mondo diverso, goccia a goccia. Il pavimento resta sporco, con le tracce di fango degli scarponi e chissà quanto durerà ancora. Certo scrivo al computer (la luce non manca per fortuna), ma qualcuno ha mai sostenuto che le due cose non possano convivere? Il computer non scalda  e non lava. Tutto può stare con tutto, ma nulla sparisce, per quanto, con desiderio infantile, non lo si voglia vedere. 
Nessuno è più forte dell'inverno. Ecco allora, forse, da dove altro si può attingere per ricercare un senso del sacro (quel qualcosa cui è necessario credere per dare un senso alle cose) - nel senso del timore, del riprender le misure (ricommisurarsi). Da non dimenticare, quando verrà la primavera, l'esplosione del ritorno alla vita, il carnevale. Sabato prossimo a Castagno d'Andrea rifanno il Cecco, un antico rito tradizionale di celebrazione della morte dell'inverno, gioiosa anticamera della rinascita - scenetta, teatrino, vino musiche e canti. Credo che il metro e mezzo di neve non ancora del tutto disciolto darà un contributo non indifferente... l'ultimo alito gelido dell'Inverno della Montagna. L'ultimo ruggito, ma ormai è finita! Del resto lo diceva anche Padre Adam: quando l'inverno è più rigido per le api la ricrescita primaverile è più forte. C'è più voglia. È la Natura. Eccola, che bussa alla porta.





La gatta è sempre lei, la capostipite. L'orecchio si è piegato all'indietro, da un annetto. Ha preso un'espressione arcigna, da vecchia, no?

4 commenti:

  1. Grazie per le tue considerazioni.
    Anch'io sono rimasto stupito del "clamore" per le normali conseguenze di un inverno (peraltro concentrato in due settimane di vera neve e vero gelo).
    Un giorno di questi, a -20, l'auto non mi è partita, ma l'ho presa come una rivincita della natura sulla tecnologia e ho fatto festa dal lavoro, e me ne sono andato a spasso inspirando l'aria gelida nei polmoni...una sensazione che non mi capitava da decenni, perchè quel freddo lì era normale (anche in città, ora vivo fuori) nella mia adolescenza.
    E persino nella mia (relativamente vicina) infanzia c'è un piccolo appartamento di città senza termosifoni, con soltanto il "putagè" (la stufa su cui si poteva cucinare), con a fianco un po' d'acqua calda e sui cerchi di ghisa le bucce d'arancia a emanare esotiche fragranze...
    Qualche giorno fa ho letto "La vista da Castle Rock" della scrittrice canadese Alice Munro, che racconta la storia della propria famiglia a partire dagli avi scozzesi. Il libro si apre con il diario di un prete locale che, di quella piccola valle della Scozia, racconta: "quando nevicava, non vedevamo altro essere umano per mesi..."

    Ma soltanto nel 2008, una grande nevicata isolò molti dei piccoli comuni delle Valli Torinesi per diversi giorni...e tutti sopravvissero comunque, anche senza luce, con l'abbondante acqua che esce in quei luoghi da ogni arteria della montagna...

    RispondiElimina
  2. grazie a te. Pensa che il mio vicino, che per ragioni troppo lunghe a spiegare è al terzo anno senza riscaldamento, mi ha confessato che nei giorni più freddi DENTRO CASA aveva una temperatura di - 1. Non è un mitomane, ti assicuro. Ha concluso dicendo: "ci si copre, e a tutto ci si abitua" - be', io non credo io ci riuscirei...
    l.

    RispondiElimina
  3. credo nemmeno io...quella capacità di resistenza non si improvvisa...bisogna essere davvero tosti per riconquistarla sul campo:-)))

    RispondiElimina
  4. al posto di "credo" leggasi "di certo":-))))

    RispondiElimina