sabato 12 novembre 2011

Libertà è stare sopra un albero (di ulivo)



 È giunta l'ora, non posso continuare a fare finta di niente. Devo darmi una mossa e raccogliere le olive. Mi accingo all'operazione con riluttanza, per diversi motivi: so che sono poche, difficili, e soprattutto che ho trascurato le piante. Senso di colpa a mille. Non solo non ho fatto quella semplice operazione a primavera che consiste nello zappettare il terreno (però ero andato dal Mauri a imparare a farlo), ma soprattutto non le ho potate, né ripulite dei polloni. Sono poche operazioni, ma necessarie, e permettono alla pianta di svilupparsi negli anni nella maniera più adatta a far frutto. Gli anni scorsi ho cercato, ricorrendo ad aiuti esterni, di imbastire il discorso, liberando gli olivi da tutta la massa di piante che li aveva sommersi (ornielli, ailanti, rovi, pruni e aceri), facendoli potare da mani diverse ma esperte, per riavviarli a una forma da coltura. Tagli in parte drammatici, ma necessari per fermare l'inselvatichimento della pianta. Poi, dalla primavera scorsa, non ho più avuto modo di pensarci. O meglio, pensarci ci ho pensato, ma ho dedicato le mie poche energie a mille altre attenzioni più urgenti.
L'anno scorso avevo fatto, un po' per ridere, la mia prima raccolta, insieme a Ornella, in una mezza giornata di sole avevamo tirato su 2,6 kg di belle olive (quelle nella ciotola salentina della foto sotto), che poi in parte avevo messo su un vassoio di fianco alla stufa, a spurgare sotto sale l'amaro, in parte dentro a bottiglie da succo a maturare in salamoia, regalandole a Natale ai miei. Entrambe erano venute buone, molto buone e ne sono stato orgoglioso. A maggior ragione quindi oggi mi brucia dover scontare la pena del mio abbandono, che assume un po' il sapore di un tradimento. Tradimento di che? Di tutto quello che vorrei: perché la vita di campagna non ammette eccesso di soggettività, bisogna restare entro i limiti che lei pone, esterni al soggetto. Bisogna assecondare i tempi e i ritmi delle cose, della natura, uniformarsi (per quanto spesso lo dica, questo non vuol dire che lo faccia).
Non come siamo abituati in città, che una cosa si fa quando se ne ha voglia, un po' come figli viziati, scocciatisi di riordinare la stanza o di rifare il letto. Qui, se si vuole raggiungere soddisfazione e decoro, bisogna adattarsi, conviene. Si tratti di pulire i prati, tagliare la legna, raccogliere i frutti. Se si perde l'occasione poi non la si recupera più. Per noi accidiosi, per me che ho scelto il libri come regno d'asilo e rinvio, è un continuo memento. Eppure, lo so altrettanto bene, questa piccola umiltà, che per quanto diversa non è diversa da quella dell'impiegato che ogni mattina deve trasformare in una scelta il dovere di uscire e prendere l'autobus per andare al lavoro, è l'unico modo per diventare padroni di se stessi, per liberarsi e gioire. Abbandonando i propri egotismi ecc. ecc.


Sono sceso nell'uliveta (parola pomposa e fuori luogo, sono due terrazze mezze franate, su cui stanno abbarbicati la mia dozzina di olivi), verso mezzogiorno, con il falcetto, il tronchese, guanti e un sacchetto per il raccolto. Ho iniziato: pulire la base, per un raggio di un metro attorno al tronco, poi togliere i polloni e i rametti bassi. Poi cercare le olive: quando sono poche le olive si nascondono, più dalla parte dove batte il sole (per me a valle, dove sono più alte e irraggiungibili) e allora bisogna alzare le braccia, muovere i rami, scorgerle e cercare di raggiungerle. La raccolta a Montaonda è un'operazione assai difficoltosa, penso che potrei paragonarla, come esercizio fisico, al sassismo che facevo in gioventù, quando si andava sui sassi a cercare e provare passaggi di arrampicata difficili, a un metro da terra, per farsi le mani e le braccia. Distendersi, distendersi, distendersi, guadagnare un centimetro col piede, un guizzo di rene, e acchiapparla - lei, l'ultima più in cima, l'oliva solitaria. Naturalmente meno impegnativo in termini acrobatici - i piedi qui stanno quasi sempre per terra - ma non tanto.

La raccolta delle olive, anche quella dei professionisti, è un'attività non redditizia. L'anno scorso, per imparare, sono andato dalla Cris, che ha un bellissimo uliveto, basso, piano, ben soleggiato; c'erano tantissime olive dappertutto, bastava tendere le reti sotto, e poi allungare le mani, chiacchierando con l'amico sull'albero vicino. Tenendo il rametto tra pollice e indice si munge (qui dicono brucare, e il termine mi piace, a me nordico che lo usavo soltanto per gli animali sull'erba segnala un sereno rapporto di naturalità alimentare), senza trattenere le olive che, cadute a terra, si raccolgono poi tutte insieme, e tirando, quando si è finita la pianta, le reti, in maniera molto simile a come fanno (facevano?) i pescatori da riva, sulla rena. Pescare olive, sarebbe bello anche dire.


Da me agire così non è possibile, né soprattutto utile, non uso nemmeno la scala: le piante non sono ancora cresciute a sufficienza per poggiarsi, né sfrondate per poterci salire dentro. Quindi le bruco a mano, e senza rete - sono talmente poche le olive, che mi conviene, mentre mungo il rametto, staccandole raccoglierle nel cavo della mano e poi infilarmele in tasca! Sono proprio poche quest'anno: sarà per la stagione magra - un terzo rispetto all'anno scorso, mi dicono - sarà per la mia incuria, sarà per il passaggio sempre penalizzante di caprioli e cervi (mangiano la corteccia e le foglie, fino all'altezza della mia testa).
L'operazione è difficile - con tratti da 2° grado: quando i piedi devono stare sul bordo della terrazza erbosa, già di suo spesso inclinata, sul bordo del muretto sottostante, e nello stesso tempo mi devo sporgere e allungare per raccogliere quelle più belle - i frutti più belli sono sempre i più alti e i più esterni. Tirare delicatamente il ramo, curvarlo senza sciuparlo, sempre mantendo l'equilibrio. Ci vuole sicurezza e precisione, una scivolata, uno sbilanciamento significherebbero cascare di sotto (l'anno prossimo mi ingegnerò d'autoassicurarmi, con la vecchia imbragatura da roccia, se la trovo). Oggi, il secondo giorno che mi dedico a questa attività, per brucare il lato più esterno mi sono aggrappato con tutte e due le mani su due rami aggettanti, mi pareva di essere in parete quando capitava di superare una pancia. Senza  salire sull'albero (lo farò l'anno prossimo, se riesco a sfrondarle al momento giusto), mi sono solo ritrovato a spenzolarmi sospeso sopra la terrazza. E qui devo aprire una parentesi: il legno di ulivo è un legno molto bello cui aggrapparsi, ruvido ma delicato, robusto ma anche fragile, quando ci si issa sembra di stringere il polso, o afferrare il braccio teso di un amico. A differenza degli altri alberi da frutto anche il contatto con le foglie e i rametti è piacevole, non pungono, sono flessuosi e non si spezzano facilmente, basta far piano coi movimenti per non infilarseli negli occhi. Quando poi si raccolgono le olive, che sono dure e sode e non rischiano di spiaccicarsi o rompersi come altri frutti, la pelle delle mani resta leggerissimamente oliata, massaggiata, perché brucare il ramo è quasi una carezza, un contatto che dà piacere. Chiusa parentesi. E allora capita che stai lì, spenzolando a guardare verso il cielo, tra l'azzurro e il verde cinerino e scuro delle foglie, all'aria aperta della campagna, sotto il sole, e ti senti libero. Libero perché quei movimenti di raccolta non sono finalizzati a un incasso (in due ore il primo giorno ho raccolto 600 g), libero di fare la cosa perché ti va di farla, ti sembra opportuno e adeguato al contesto in cui ti trovi, e la fai direttamente per te, in quel momento, e senza secondi fini.
Libertà qualche volta, mio caro Gaber, è proprio stare sopra un albero, sia da ragazzi, come il barone rampante, sia da adulti, ogni volta che ci farebbe bene tornare a levare il naso per aria, e sentirci un po' più elastici e flessuosi (imparare dagli alberi).
In particolare poi, inutile tacerlo, mi sto occupando molto da vicino dell'arrampicata sugli alberi, per ragioni professionali, e perché con Mauri (treeclimber di vocazione e professione) stiamo facendo un video per Toni. Al momento opportuno ne riparlerò, sicuro. Intanto ne parliamo tra noi, e sugli alberi si concentra la mia attenzione. Spesso del resto qui le serate si passano a raccontare tagli di boschi, legna da opera, astuzie di attrezzi e affilature di motosega. Era anche l'anno dell'albero questo (se non sbaglio), ma pare che non ce ne siamo accorti più di tanto... Eppure, eppure... non è vero. Per me è stato un anno molto arboreo. E siamo anche in molti, credo, che vorremmo avere più a che fare con gli alberi. Se non che, loro stanno lì, e noi pensiamo di poter tornare a loro in ogni momento, e continuiamo a comportarci come sempre. Invece, per noi vitabreve, il tempo scorre accelerato, come in un film di Ridolini: siamo trascinati da mille altre cose - e intanto, nei boschi, i frutti cadono, e cadono le foglie, passano gli anni, e noi, noi dove siamo?




P.S.
In Toscana (ma anche in molte altre regioni d'Italia) gran parte della raccolta viene fatta a mano, e quasi sempre a farla sono i pensionati. Passando a novembre per le colline li si vede nei campi, tra l'erba verde e le brume sfilacciate del giorno, la macchina a bordo strada, la scala argentata o arancione, le reti bianche. Si muovono lenti, diritti, silenziosi, come  per tutta la vita non avessero fatto altro che salire e scendere quelle scale, appoggiarle ai rami più solidi, alzare le braccia e brucare le olive, potare i succhioni, portare avanti e indietro le ceste fino alle macchine aperte. Spero che lo facciano anche loro per piacere, guardando verso il cielo e ritrovando su quella scala la propria libertà. Perché di altro, di denaro, di certo non ne cavano molto: chi raccoglie fa a mezzo col padrone, quasi come ai tempi della mezzadria. Quanto rende? Se va bene da 10 kg si fanno 1,2 litri d'olio, al massimo 1,3. Quando un albero è maturo e ben carico produce qualche decina di kg di olive. Ma quanto ci vuole a raccoglierle? Poi, messe nelle cassette di plastica si fanno asciugare e si portano (ma quanto pesano!) al frantoio...

1 commento:

  1. Ho raccolto le olive qualche settimana fa ed è bello. Ed in quella campagna della foto probabilmente sì.

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