giovedì 18 febbraio 2010

Bollettino di Montaonda n. 25: Intermezzo di quotidianità appenninica



Montaonda, 14 febbraio
Sì, ci sono ancora, semplicemente mi sono incantato e non riesco a produrre il seguito della camminata verso l’Annapurna - mi sa che ancora le cose devono sedimentare: pazientate. Riprendo così i miei racconti di vita in Appennino. Non che ci siano enormi novità, più che altro nevica e fa freddo, il tempo favorisce il letargo e la lettura, si mangia e si dorme un po’ troppo, si rimanda tutto il resto a primavera.
Non proprio o non del tutto però, nel senso che qualcosa succede sempre, ogni giorno. Per esempio lo scorso weekend con l’aiuto del bravo Andrea, a Campicozzoli i Suonatori terraterra ci hanno riprovato, per la terza volta (la prima cent’anni fa, quando io ancora non c’ero, con l’aiuto del famoso Fabio produssero un cd amatoriale, andato presto a ruba e mai pubblicato, poi due annetti fa col celebre Mirco, che nonostante sia stata una bella esperienza – registrare tutta la notte in mezzo al prato con 5 microfoni per tutta la banda - non era certo materiale da far uscire), e forse ora si farà un disco (chissà, e che strana questa storia, di un gruppo scasso che viene registrato da fonici di lusso e cionondimeno non ne fa nulla). In realtà dal gruppo io sarei uscito la sera del 25 aprile scorso, però ho fatto ancora un paio di suonate in onore di Ivan (e me lo immagino spaparanzato in paradiso a sghignazzare, ma sempre con rispetto, di noi meschini), e appunto queste registrazioni, perché insomma, erano pezzi dove c’avevo messo il mio (oddiosanto, com’ormai parlo toscano!).
Poi sto lavorando un po’ sul frangente dell’antieolico, in questi giorni con Roberto abbiamo finalmente finito un pieghevole – a me sembra abbastanza pregevole: andate a vedere, www.fermiamoilmassacro.org - sulla nocività delle torri che falciano i volatili, piombando dall’alto come una ghigliottina, in particolare gli ormai rari rapaci e i migratori, che veleggiano in mezzo a difficoltà e disorientamenti di ogni tipo, per non parlare dei pipistrelli. E poi col comitato si stanno preparando altre cosette, che spero presto vedranno luce e fortuna, anche se l’ombra nera delle pale a ghigliottina incombe sempre più minacciosa (ho scoperto che probabilmente dal retro della casa se ne vedrebbero due di sguincio).

Ma non solo questo, per fortuna. Ieri, che era sabato e c’era finalmente un sole splendido, dopo aver lavorato tutta la mattina per sistemare la contabilità, essere andato in paese a consegnarla alla commercialista, mi sono comprato un bel tocco di schiacciata (ovvero focaccia) e balzato in macchina ho oltrepassato il Muraglione, fino a Osteria nuova. Il giorno prima aveva nevicato, ma di neve e ghiaccio sulla strada era rimasto ben poco, giusto sulle curve in ombra. Troppo poco per i miei gusti, che ricordo a stento com’è bello guidare sulle strade innevate, senza nessuno tra le palle (va detto che per la prima volta in vita mia a dicembre ho addirittura montato le gomme da neve, e finalmente la cosa ha avuto una sua ragione). Da Osteria ho indossato le ghette nuove nuove, e ho preso il sentiero che risale il vallone di Soia, dentro al Parco, che porta all’Eremo dei Toschi, dove abitano Paolo ed Elisa, gli amici che fanno i formaggi di capra. Erano una decina di giorni che ci si voleva vedere, ma loro sono bloccati causa neve. E così ho tentato la via ignota, seguendo le tracce che qualche ora prima sapevo aveva lasciato Andrea (non il musicista, questo viene da Bologna). Trenta centimetri di candore e man mano di più; salire nel silenzio totale è sempre un’emozione, profanare la coltre immacolata della neve è come introdursi in un sacrario, in un mondo trasfigurato che non è più nostro. Il riverbero era accecante, la solitudine perfetta, l’aria fredda ma il vento moderato. Cercavo anche la casa di un altro Paolo, amico del comitato, che è lungo via, ma non l’ho identificata. Volevo fare una pausa da lui, ma dopo un’ora ancora non la trovavo e cosi, traversati i due valloni con ruscelli, risalendo la faggeta volta a nord, mi sono detto appena sbuco sopra, dove vedo scintillare il sole, mi fermo e faccio pranzo, con schiacciata e arance (lasciando la macchia colorata delle bucce sulla neve), ma poi, quando sono arrivato su è comparsa una casa – ed era già l’eremo: sono arrivato mezz’ora prima del previsto, una bella soddisfazione. Così ho scroccato un po’ di zuppa, ho fatto le mie chiacchiere e dopo un paio d’ore sono tornato giù, rapido rapido, prima che calasse il sole. Informato sulla casa di Paolo da lontano gli ho lanciato un urlo, e mi hanno risposto i cani, ho scavalcato il cancello e lui mi è venuto incontro. La neve blocca anche lui, ma la statale sta a soli 15 minuti di cammino. Mi ha portato in giro per il podere che sta rimettendo in uso, facendomi vedere il rudere che sta sistemando, indicando il bosco e gli alberi da frutta; d’inverno abita nella porcilaia trasformata in un confortevole monolocale. Paolo, che viene da Ferrara, è sperimentatore di permacultura, un vero rivoluzionario verde. Mi ha prestato una rivista che si intitola terra selvaggia, e ha per sottotitolo pagine anticivilizzatrici. Voleva darmi anche un cucciolo di pastore maremmano bellissimo, davvero un tesoro; col muso più grande del corpo sembra un piccolo di orso bianco... mi ha offerto una tisana e mi ha raccontato i suoi giorni, trascorsi senza vedere nessuno, finché si rompe, scende alla strada e prende la panda e fa visita agli amici. Sperare che la gente arrivi quassù è inutile, già faticano ad arrivare in estate…
Così è l’inverno in Appennino, dove gli uomini si lasciano crescere la barba. Il mio altro vicino, musicista reggae, mi raccontava che nel vallone di fianco al mio, quello che sale e sbuca alla terrazza del Cavallino, fino a pochi anni fa c’era un eremita, che viveva in una grotta. Un barbone, certo, si sarebbe detto altrimenti. Ma ho già sentito storie di eremiti in tempi recenti, e anche quando stavo a Campicozzoli ricordo che era passato un tale, magro magro, che andava a dormire nel fienile, e poi il giorno dopo era sparito. Storie di cui non si sa nulla, ma il fatto che non le si racconti non vuol dire che non esistano... esiste sempre un mondo parallelo che lascia poca traccia.
Quanto alla casa, ancora sto aspettando che mi montino la tettoia fotovoltaica, faccio finta di niente ma pian piano questi continui stop burocratici cominciano a darmi sui nervi. In cambio, con l’aiuto del mio vicino falegname, la cucina si è arricchita di un paio di armadietti assai carini, una madia e un ripiano con sportelli sotto la finestra.
Per il resto non ho fatto molto, giusto tagliato un po’ di legna per scaldarmi mentre leggevo libri su libri. Qualcosa di buono si trova sempre. In priimavera si vedrà, pulirò un altro poco di terreno sotto casa e forse proverò mettere a dimora delle piante. Già, ma con i branchi di cervi che girano sotto casa sarà forse inutile, se prima non costruisco un recinto di quelli robusti. Con questi freddi gli animali di notte arrivano fin sulla soglia di casa, mi brucano il rosmarino e la lavanda, anche il prezzemolo e la rucola – devono aver proprio fame! - le foto le ho scattate due sere fa dalla finestra. Le ho schiarite giusto un po’, era già quasi notte. Ne ho contati otto, due maschi di cui uno giovane. MI guardavano e non si muovevano. Naturalmente mi stanno rovinando tutti i pendii erbosi, perché la neve sciogliendosi ammolla il suolo e col loro dolce peso i cervi smuovono tutto il terreno, e non si curano di passare sui sentierini che sto cercando di segnare. Gli ho tirato dei sassi, si sono dati con due balzi tranquilli alla fuga. Boh, vedremo a primavera.
Ecco fatto, ho finito di scrivere mentre cucinavo: crepes di farina di castagne col cumino, riempite di zucca sminuzzata e saltata con cipolla, sale aromatico e peponcino. Un bicchiere di barbera extra da far schioccare in bocca, quattro noci della Greta con un po’ di pane per chiudere. Wow.
La mia settimana bianca, a chilometri zero.






Le foto
in apertura: gelo a Campanara. In chiusura: dalla finestra della stanza degli ospiti

2 commenti:

  1. Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.

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  2. Un racconto non meno avvincente di quelli dell'Annapurna.
    Giorgio

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