lunedì 17 settembre 2007

Bollettino Montaonda 3

Montaonda, 17 settembre

Cari tutti,
niente di strepitosamente nuovo dalla Toscana. Mi
sembrano ormai mesi che sto qui, e invece sono passati
più o meno una quarantina di giorni, di cui a
Montaonda ne avrò dormiti meno della metà. Eppure
ormai mi ci sento a casa, la mattina sorseggio il mio
caffè guardando fuori dalla finestra dello studio, e
poi affronto giornate di lavoro, non sulla casa,
intendo. Sto aspettando da un giorno all’altro che mi
consegnino la termocucina, ovvero una stufa che
riscalda l’acqua di tutti i termosifoni di casa, ho
prenotato 8 metri di legna (qui si misura così) e con
questo sarò pronto ad affrontare l’inverno. Non ho
ancora imbiancato nulla, diciamo che mi sono preso il
tempo di adattarmi alla casa. Ogni giorno vedo gli
scoiattoli – sono così scuri e veloci, danno proprio
nell’occhio – indaffaratissimi a saccheggiare gli
alberi di noci attorno a casa mia e di Ueli. Il bosco
di fronte comincia a ingiallire, e l’ailanto a perdere
le foglie. Attorno a casa sono sempre meno, ho
tagliato (non fino alla base) anche il sambuco davanti
al bagno.
L’altro giorno sono stato a fare una perlustrazione
con Ueli, il vicino, nel campo ci sono ancora i
recinti in filo spinato che avevano costruito per
difendere un orto e per la cavalla, poi siamo risaliti
lungo le terrazze della costa a est, alla ricerca
degli ulivi. Ci sono ancora, inselvatichiti ma vivi.
Poi siamo riusciti a districarci tra i pruni e i rovi
e a tornare sulla strada. Mi ha anche fatto vedere il
grande mandorlo che c’è nel secondo appezzamento. Non
fa frutti ma fiori, e tutto sommato non è poco. Il
giorno seguente sono sceso al torrente, per continuare
la perlustrazione e ho scoperto che c’è una bella
cascata (ma vista per ora solo da sopra) e poi ho
proseguito lungo i confini del terreno a risalire
pozze ombrose e poi boschi con pioppi altissimi. Miei.
Che strana impressione possedere della terra. Sembra
un po’ un sopruso: basta un atto notarile e
improvvisamente tu, uno sconosciuto che viene chissà
da dove, diventi proprietario di quelle pietre, quelle
piante e tutto quello che è contenuto in quei confini.
Senza avere alcun rapporto con essi, è strano.
Verrebbe da credere che la proprietà uno se la debba
conquistare lavorando, tagliando e ripulendo. Non so
cosa riuscirò a fare. Per ora ho tagliato col pennato
(il falcetto) qualche getto d’edera che soffocava i
pioppi, ma ci vorrà ben altro. Non credo riuscirò a
pulire tutto, e forse è bene che il bosco resti così,
popolato di animali e basta. Ho trovato i ruderi del
casotto e altri angoli di natura davvero selvaggia.
Insomma, nei miei otto ettari c’è di tutto: i picchi
rocciosi, rovine, un paio di prati, un uliveto, una
casa con i cipressi, una gola con cascata, un bosco
con ruscello. In miniatura, ma c’è. Che dire? Ieri
sera ero seduto sopra la cisterna, sulla sdraio di
plastica, e guardavo verso il Falterona. Era tutto
buio, sulle nuvole qualche rilfesso di luce dalla
parte di Castagno, per il resto: buio e stelle.Mica
male. Stanotte ha piovuto, stamane fiocchi di nuvole
strisciano per il bosco di fronte e lambiscono anche
il crinale di casa. Vanno e vengono, salgono dal basso
della valle, come evaporando, e poi si aggirano
entrando nelle anse del bosco, lente ma senza
arrrestarsi, come lumache sempre indecise sul da
farsi. Forse arriveranno anche i funghi.

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