venerdì 2 febbraio 2024

Senza natura non c'è vita. Ovvero: quanto dura un'idea?

Mi accorgo che sono diversi mesi che non pubblico niente. Fa nulla, il pensiero non ha fretta, e proprio questo esprime la riflessione che voglio condividere questa mattina. La foto ritrae la Cronobioseggiola di fianco all'ingresso della casa di Cosetta, una sapiente amica che abita in Sabina, a cui ho da poco fatto visita e che saluto con affetto.

 

Quanto dura un'idea?

Una delle cose che più mi inquietano del tempo presente è l’evanescenza delle opinioni (liquidità, per usare un termine caro al sociologo Bauman, che proponendo questa definizione si riferiva a una società che “non è in grado di conservare la propria forma o di tenersi in rotta a lungo”) e delle idee su cui si basano.

Mi spiego. Cercando informazioni sulla Biofilia, mi imbatto nel titolo di E.O.Wilson, pubblicato nel 1980 e riedito ora da PianoB. E grazie agli algoritmi di Amazon scopro tutta una serie di altri titoli su questo argomento, ovvero il rapporto uomo-natura, titoli ormai completamente dimenticati ma visti i nomi degli autori sicuramente di pregio. Data la mia formazione di antichista e un po' filologo, mi viene d’istinto remare controcorrente e cercare le origini e le fonti di ogni pensiero, e mi accorgo così che proprio questi temi oggi così attuali sono stati ampiamente dibattuti prima dell’avvento dell’età informatica, che chissà perché - ma lo sappiamo benissimo perché - consideriamo un po' l'anno zero della nostra cultura. Certo, allora c'era l'ombra della bomba atomica e ora la luce è cambiata parecchio, ma siccome in quegli anni c’erano teste di primissimo rango a pensare e scrivere, mi viene d’istinto documentarmi. Mi rendo anche conto che però, forse giustamente, chi parla e pensa oggi vuole considerare in primis la fenomenologia del presente, nel timore di perdere la presa su quel che accade, o di non poter essere compreso, data la diversità di linguaggi ormai evidente (forse nemmeno io sono tanto comprensibile?).

Quindi la questione è più complessa, soprattutto per me che ricerco, nella scia del bioregionalismo, ovvero nel paragone con il pensiero naturale (termine che ormai ha sostituito il discriminante “primitivo”),  la sapienza antica dell’uomo quando non era ancora dissociato dal suo essere animale trasformandosi in homo-technologicus (questo termine è un conio scherzoso e paradossale, ovviamente).

Perché? Perché senza natura non c’è vita (la frase, o proposizione, sicuramente già detta da chissà quanti, mi sgorga come mia, e ne sono molto fiero), questa la stretta e inoppugnabile conclusione cui arrivo. Una vita senza natura non si dà, sarebbe come credere che una bistecca coltivata possa un giorno arrivare a pensare. Poi certo, ci sono aperte tutte le possibili escatologie e metafisiche, misticismi e fedi, ma ancora una volta cambiano gli scenari e si svellono tutti i paletti concettuali della ragione che fin qui abbiamo implicitamente preso per buoni. Almeno quelli che adopero io, e suppongo alcuni altri.

Il punto cui torno volentieri (la sapienza) è sempre lo stesso: perché andare avanti, se nel presente c’è già tutto quel che può servirci (a quelli che sono i veri fini della vita)? Se andando avanti non troveremo di più, anzi, sono ormai certo, sempre di meno? L'intelligenza artificiale è una bufala (o un mito prometeico se vogliamo vederne l'impatto culturale, socioantropologico), ormai s'è capito (leggete il libro di Stefano Isola, A fin di bene: il nuovo potere della ragione artificiale, Asterios ed.). Ovvero: perché non trascorrere il nostro tempo a discutere dei massimi sistemi e delle arti, e godere di bellezza e filosofia, invece che addentrarci in speculazioni artificiose, futili e soprattutto svianti, che terminano sempre e comunque in guerre e sopraffazioni?

Per esempio Giorgio Colli - negli ormai mitici anni di fine millennio, quando forse istintivamente semza dirlo si credeva ancora che la guerra (la guerra interna almeno) si fosse esaurita - e come lui tanti, hanno prodotto una serie di testi, conferenze, corsi, libri, di stupefacente ricchezza e utilità. Perché non dedicarsi all’esegesi di questo immenso patrimonio e tesoro (Thesaurus, e anche questa è una battuta da filologo apocalittico) che la cultura di tutto il mondo, occidentale e orientale, meridionale e nordica, ci ha regalato e consegnato, e andare a depredare le ricchezze materiali che costituiscono l'ossatura e la sostanza stessa da cui è sgorgata la vita e che per necessità naturale ci sostiene a ogni respiro, sempre affannati nella psicotica ricerca di un elisir (oggi: batteria) di potenza eterna (altro che lunga vita!), che non è altro che sottrazione e distruzione?

Dov'è la vita, e quanto conta di fronte alle dinamiche che vediamo in atto? Quanto ben poco conti lo sappiamo tutti ogni giorno di più nell'andamento delle borse dell'informazione - ma chi è che comanda allora? Ed eccoci, estinta anche solo l'idea di sacro e di ogni dio, ricicciata in improbabilità glamour, cui nessuno in cuor suo vuol veramente credere, ma finge di farlo per garantirsi un posticino all'asciutto, eccoci fuori agnellini in attesa del diluvio e dentro disperatamente belve o sovversivi, che più o meno consapevoli ci scanniamo o riuscendo a sublimare torniamo a leggere Il signore degli anelli (lo dice la borsa del libro usato!) a guardare Guerre stellari; eccoci che ci tatuiamo sognando Thor, e torniamo alle antiche favole, o a emozionarci per quelle moderne, per i nuovi centauri su due ruote invece che su quattro gambe, perché siamo umani, e non potremo, noi forse ultimi, mai smettere di esserlo, pena la totale alienazione (ci basta quella attuale di fatto).

Mah, lasciatemi dire: misteri dell'individuazione - da tanto purgatorio passa forse la resurrezione. Amen

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