martedì 13 marzo 2018

Cincia e la scoparsa degli animali dalle città

Buongiorno, buon anno e buona primavera, anch'io mi rifaccio vivo: la voglia è di riprendere a dire parole mie. Non sarà facile, dopo un anno passato a confezionare parole altrui. Lasciamo parlare per primi gli animali, allora, che sempre più spesso esprimono parte dell'animale che tutti noi siamo. Cominciamo con Danko, che è passato a conoscermi, mentre i suoi cugini lupi nei giorni di gelo si facevano ammirare alle Calle, nella valletta di fianco, proprio sotto il passo del Muraglione (pare che gli appassionati dalla terrazza del Cavallino li osservassero a proprio agio con il binocolo). Danko sembra a proprio agio con i libri Montaonda, sembra avergli trovato un buon impiego.


La mattina qui a Montaonda, quando dopo colazione vado in bagno a lavare i denti, vedo di fianco a me alla finestra una cincia che cerca di entrare. Non so se negli anni sia sempre la stessa o siano altre, ma sembra proprio bella decisa, a cercare un varco nella parete trasparente. Sembra una cinciarella, se wiki non mi inganna. Il tempo di andare di là a prendere il cellulare per fotografarla, e non c'è più. Tornerà domani. Anche quando stavo ad Aizurro, la casina nei boschi della Brianza dove abitavo negli anni '90, c'erano regolarmente degli uccelletti del bosco che cercavano di entrare dalle finestre, ma lì la casa era ricoperta d'edera, per cui le finestre davano proprio l'impressione di antri grotteschi. Dopo averne trovati un paio stecchiti sul davanzale, per avere cozzato con troppa violenza con la testa, ci eravamo procurati delle sagome nere di predatori, quelle che si vedono sui vetri delle autostrade, per tenere lontano gli uccellini.
Qui accosto ci sono un paio di cipressi, e la casa è di pietre, quindi forse ciò basta a fargli credere di poterci fare il nido. Comunque non cozzano, cercano di entrare frullando le ali. --->


Ieri ho visto anche il merlo, ritorna dopo l'inverno; quando fa freddo qui intorno di volatili si vedono quasi solo il pettirosso, le ghiandaie (belle le loro planate autunnali) e le cornacchie. In primavera ed estate si vedono anche l'upupa, col suo bel pennacchio arancione e bianco da clown, e il picchio verde. Ogni tanto passa qualche gazza, e in alto, nel cielo, gli aironi che abitano al laghetto e le poiane, dirette su rotte aeree al Falterona.
Piano piano, col passare degli anni, sto cominciando a riconoscerne qualcuno degli uccelli. Le cincie sono facili, col capino nero e la livrea verdina. Ci sono anche dei micropasseri, che non so cosa siano. Li vedo dall'altro lato, a mattino.
La riflessione è che un tempo gli uccelli erano parte importante del mondo delle relazioni animali dell'uomo, era anche diffusa l'abitudine di tenerli in casa, spesso li si addomesticava.
La straordinaria storia del passero Filippo (www.youtube.com/watch?v=UfM2Iy9X-z0) me l'ha raccontata Sasha, nel 2011 (credo) ho avuto la fortuna di sedere di fianco a lui a un pranzo di un convegno di animalisti dove presentavo il mio libro sul roadkill, Danni collaterali. La sua, di un uccellino che da cinque anni condivideva ogni momento della giornata con i suoi due amici umani, mangiando e dormendo appiccicato a loro, ci sembra una storia incredibile perché non siamo più abituati a pensare gli animali come individui con un cervello, una rete relazionale e sociale, ma principalmente come figurine e personaggi di cartoni, o come cibo o specie da tutelare. Siamo diventati proprio scemi. 


Invece tutto questo si riconnette a una tradizione minoritaria ma ancora viva, quella di persone che condividono la propria vita affettiva con animali liberi, che ora esiste soltanto in maniera sporadica, nei cosiddetti rifugi o presso gli amanti degli animali, mentre una volta era diffusissima. Molti bimbi della campagna avevano un animaletto di compagnia, tipo un coniglio (salvo ritrovarselo nel piatto, come è capitato ad Ange), mio padre mi raccontava che da ragazzo aveva addomesticato (si diceva così) un merlo.
Dove volevo arrivare? Al fatto che in città gli unici animali che si vedono liberi sono: piccioni, cornacchie, zanzare, topi. Quando invece ero ragazzo al QT8, periferia appena strappata alla campagna, c'era una quantità di vita pullulante che faceva impressione. Nel prato del condominio (foto sotto) era pieno d'insetti, e quando pioveva anche sul campo giochi e sulle strade d'asfalto bisognava fare lo slalom tra i lombrichi  grossi lucidi e rosei che comparivano dappertutto. Oggi è il deserto. Non si vede una formichina, non una farfalla non una mosca. Non so se siano le irrorazioni contro le zanzare, fatto sta che la biodiversità in città è un sogno dell'uomo, la primavera è del tutto silenziosa. Tolti gli insetti, restano solo gli animali che si cibano di rifiuti. Quando ero ragazzo ogni volta che scuotevo la tovaglia dalla finestra (della cucina, da cui ho scattato la foto qui sotto) arrivava subito una frotta di passeri, come se avessi sventolato la bandiera "pranzo servito". Ora di passeri non se ne vede più da anni.


L'amico Paolo Faccioli, insieme a diverse entità tra cui l'Università di Bolzano, sta dando vita a una iniziativa assai articolata sulla vita selvaggia in città (nome: Selvaggio Urbano). Lui, mi piace immaginare, ha iniziato diversi anni fa liberando una trota viva che aveva comprato dal pescivendolo (un episodio che  racconta in Dall'altra parte dell'affumicatore).  Io dalla città, non silenziosa ma rumorosa ormai solo di mille motori, sono scappato - non per stare in mezzo agli animali ma per essere animale io (recuperare anima, in questo senso). Qui gli uccellini continuano a bussare alla finestra, e gli scorpioni mi fanno la posta sui muri. Tante ragnatele, formiche, mosche, ma anche tanta vita, senza dover far nulla per andarla a cercare, tutto avviene con naturalezza, anche sui miei jeans, mentre leggo all'aperto.
(A seguire)


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