Finalmente l’inverno è tornato anche a Montaonda, sono un
paio d’anni che mancava. È iniziato a nevicare, qualche fiocco qua e là e
squarci di azzurro nel cielo verso Firenze, poi nel corso della giornata il
turbinio della neve s’è infittito, a tratti con raffiche come d'un temporale sofficemente ghiacciatosi
cadendo per le vie del cielo, e ieri, infine, è arrivata la tormenta. Fa un po’
ridere scrivere di tormenta qui, a 500 metri in Appennino, non ci sono le
creste del K2 o la maestà ghiacciata dell’Annapurna, ma le folate del vento sono
fenomenali, sollevano secchiate di neve secca come farina e la scaraventano
giù dai tetti, poi leggera s’innalza in turbinii come fosse cenere impalpabile, al vento si piegano
i rami dei cipressi mentre continua e continua e continua a nevicare. Tutto
resta radicato ma si muove e balla coinvolto nel grande movimento del maltempo che attraversa le montagne. Il
suolo ha perso la sua forma e la neve ha riempito buche e passaggi, restano
alcuni sassi e sporgenze emerse, circondate dalla cornice di neve, come sulle
vette ventose delle montagne gelide, disegnando curve morbide che sembrano anse e geometrie curve di greti sabbiosi, letti
alluvionali di fiumi prosciugati. Riscopro che la neve fredda è estremamente secca! La temperatura
non sale sopra lo zero, nemmeno a mezzogiorno, e così tutto resta slegato e volubile: basta un colpo e
la neve sparisce dai tetti, dai prati esposti, l’albero si scrolla come un setaccio di farina battuto
con la mano. Tutt’ora al suolo la coltre non supera i quindici centimetri,
anche se siamo ormai al terzo giorno di nevicata quasi ininterrotta – nelle
fosse arriva forse al metro. Ieri, scendendo per portare la macchina sulla
provinciale, abbiamo visto impronte di: gatto, lepre, cervo. Domenica mattina era
schizzato giù dal muretto un capriolo in fuga – lontani i latrati dei cani (non
so nemmeno se sia permesso cacciarli). Oggi uccelletti in volo, tra cui il petto
rosso spavaldo e qualche passeraceo che foraggio abbondantemente con le scorte
di pane secco (se non lo faccio io chi?). Esco come da manuale, giusto per
andare a prendere la legna per la stufa, il lavoro non manca e va bene così.
L’ho già scritto una volta, caratteristica della tempesta di
neve è che non si può fotografare (e i video per questioni di banda stretta io
non li posso usare), che quando il gigante dell’appennino scuote la sua immensa
tovaglia infarinata le folate di neve ghiacciata ti investono ma non restano, proprio come i fantasmi si dice, altrattanto volatili, non impressionano la pellicola. Da qui l’uso di tutte queste mie parole concitate, a supplire le poche foto
significative non evocative (anche perché ho fretta e devo lavorare, e - io - ci metto più a scattare che a scrivere).
Il bosco con la neve diventa più bosco, il cipresso si
trasforma in abete e sembra di essere dispersi nel Klondike (non era La febbre
dell’oro di Chaplin, splendido bianco e nero?). Immagino tracce di viandanti
impellicciati, cinghie di cuoio ghiacciate, pellegrini e trafficanti, un po’ come in quel cupo film di
Jarmush… brrr....
(scritto il 16 gennaio)
Nessun commento:
Posta un commento