mercoledì 29 giugno 2011

Bollettino di Montaonda n.30: Camminare verso



Ieri sono sceso in città a fare scorta di libri, e mentre studiavo gli scaffali, arrivato a quello del turismo, guide e affini, ho visto che razza di incredibile offerta c'è sul Camino de Santiago. Siccome mi era da poco capitato di recensirne uno non mi sono stupito: evidentemente questo "camminare verso" ora è molto sentito, se non di moda. Naturalmente, come diceva l'autore del libro poco più che mediocre che ho letto, si parla (e straparla) di cammino interiore. Cosa ciò sia però non mi è ben chiaro, se non come vaga e condivisa aspirazione spirituale - mi sembra di aver capito che ognuno se lo vive come vuole (in tempi di psichedelia si diceva "ognuno si vive il suo trip", e anche quello era in fondo un riconoscimento del comune bisogno di trascendenza - se non di illuminazione). L'importante, riducendo la questione ai minimi termini, mi pare sia il puro comune "aspirare verso": perché in fondo camminando si sta per lo più zitti e si rimugina, e se uno del gruppo non è simpatico si trova il modo di scansarlo e procedere da soli o accompagnarsi ad altri. Una grande partita a dama, da soli o in compagnia: secondo preferenze o attitudini ognuno un senso se lo crea da sè.
Ben altro ho trovato invece nel libretto pubblicato dall'amico Julian, che mi ha donato qualche tempo fa quando ci siamo incontrati a Padova, per confrontare le nostre esperienze di neo-editori (lui: Overview editore). Si tratta di una storia, breve perché proprio senza fronzoli e ben scritta, in cui il camminare parte senza una motivazione e diretta "verso il nulla", in mezzo al deserto. In perfetta solitudine. Ma lì, però, dove tutto si dissolve - e questa è la differenza rispetto a quello che ho letto su Santiago - il camminatore trova qualcosa, che è anche il punto in cui il protagonista decide di fare ritorno, che diventa poi un ritornare. Quel minuscolo qualcosa infatti viene rivisitato, per tutta la vita, istituendo una sorta di pellegrinaggio (senza santuario, mi pare di ricordare). Ciclicità, ritorno, rivisitazione, crescita, ecc. ecc.
Il fatto che il cammino nel deserto culmini in un'epifania, e che questa sia un fiore non è melensaggine, ma la necessità di vedere certe cose senza veli, Buddha era tutto tranne che melenso, no? Ebbene, se il cammino di Santiago (per come lo vedo da lettore di resoconti altrui) è un tendere a una meta, a uno sbocco verso l'oceano, un immenso e dolente camminare di sofferenza che sfocia naturalmente nella distesa sterile e salata dell'infinito, un limite esterno in cui l'individuo si perde o con cui quanto meno si deve confrontare (sto parlando di coordinate geografiche e mentali, non di quelle interiori, non di esperienza individuale ma di simbologie del camminare), di dissoluzione e unione cosmica, ecco che invece nel racconto di Neil del Strother il cammino nel deserto diventa incontro e soprattutto frutto (la bellezza guarda un po'), e quindi senso; l'individualità si apre e sboccia, e gentilmente, silenziosamente, diventa forza d'esempio e fattore di promozione sociale. Il cammino poi viene ripercorso anche all'indietro (mentre da Santiago ho l'impressione che siano pochi a tornare come son venuti...). Naturalmente tutte queste mie chiacchiere valgono come scusa perché, a un anno e mezzo di distanza, non ho ancora finito di raccontare il mio cammino verso l'Annapurna - naturalmente.

Il fiore nel deserto, Overview edizioni, è un bel racconto, forse un po' costoso visto che lo si legge in un'oretta, ma 9 euro per 90 paginette, se sono ben scritte, è uno scambio che si può fare, in fondo è il prezzo di un biglietto del cinema. E poi, nulla ci impedisce di rileggerlo, no?
Infine: rileggendo queste righe, per controllare i dati del libro lo apro, e cosa leggo sul risvolto? "...scritto lungo gli 800 chilometri del Cammino di Santiago" Oh, sì!

Nella foto: flora spontanea di Formentera

6 commenti:

  1. Ti suggerisco di considerare un terzo modo di vedere il camminare, un po' sulle orme di Chatwin, che non consiste nè nell'andare verso la metà, nè nello smarrirsi nel nulla per ritornare a sè stessi. Si tratta invece del ripercorrere per tenere in vita o dell'incontrare che disvela ciò che ancora non si conosce. Se è vero che "nullus loco sine genio" si tratta del far uscir fuori il genius loci per riannodare i fili antichi che corrono tra le generazioni, oppure anche solo per un saluto o una strizza d'occhio.
    Se mi chiedi che cosa è questo genio? Io ti rispondo: ma come non sai che in quell'albero spaccato vive un folletto? non ti ha detto nessuno che quella che sembra una pietra bianca in quel muro di sasso è il panetto di burro messo all'ombra dalla strega che abita lì? proprio non li conosci questi posti ....

    ciao

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  2. Concepito, e in parte iniziato, lungo il Cammino: così mi dice l'autore del "Fiore nel deserto" :-)
    Grazie per la poesia che traspare da questo commento. Leggendo e rileggendolo (perché ogni tanto lo riprendo in mano e lo rileggo), in quel camminare nel deserto io leggo il camminare dentro se stessi, alla ricerca del proprio nucleo fondante; e sarà che ancora non mi trovo, ma sempre arrivo alla fine della lettura con una volontà rafforzata di continuare a cercarmi...
    Julian

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  3. apprezzo molto il commento di Fabio - che condivido in ogni parola, e in particolare "nel riannodare i fili antichi ecc," - Chatwin era stato molto importante per me, mi aveva indicato un cammino piuttosto lungo. E certo il mondo, con tutto quello che può essere, nelle mie parole era rimasto in ombra. Ma già i greci (per non parlare degli africani) erano grandi camminatori, e ci sono un sacco di incontri particolari, epifanie, da Omero a Platone, se si volesse fare una storia fenomenologica del camminare, anche passando per Lenz e Pinocchio, perché no, ce ne sarebbe da riscrivere il mondo - una fantasmagoria capace di intimorire la fantasia più borgesiana. Meriterebbe una riflessione a parte "camminare nel paesaggio" inteso come historia loci...
    Grazie anche a Julian - certo "camminare dentro se stessi" potrebbe essere un bel titolo (suggerisco allora un bel libro di un'illustratrice davvero interessante, "Dentro me", Alex Cousseau e Kitty Crowther, ed. Topipittori...)

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  4. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  5. mi viene da aggiungere: se a Santiago il cammino (indicato come è noto da una freccia, quasi nello stile di un senso unico bejaminiano) è storia e stratificazione secolare (Fabio), nel racconto di del Strother non c'è sentiero, ma il deserto notoriamente infinito e quindi labirintico (un'uscita luminosa da un Irrweg mistico, Julian?), che però, instaurando la ciclicità del ritorno diventa un ri-percorrere e riannodare i fili di una propria storia, che diventa quindi modello e davvero storia per altri, e a sua volta sentiero (il sentiero non è allora forse anche questo: una strada tracciata dai piedi, che se non viene percorso - e lo so bene da Montaonda - tende a sparire più o meno rapidamente? Quindi, come corollario: "Un uomo solo non farà mai un sentiero, ameno che questo non sia la sua strada di casa" (Wow!). Forse ai giorni nostri il percorso di Gesù nel deserto sarebbe diventato un magical-mystery-tour?... perdonatemi se gioco... grazie!

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  6. Anche Kapuscinski..... anche lo sguardo di Cartier Bresson. Di Salgado. Ci sono anche quelli che guardano le persone, le storie, il paesaggio che condiziona le vite, e che cercano se stessi attraverso la comprensione del prossimo e del mondo, perché il mondo e il paesaggio è la storia dei nostri simili, che possono essere però così diversi. Poi le storie della propria introspezione diventano piccine, a confronto con la lotta per la sopravvivenza.

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