domenica 15 novembre 2009

Bollettino di Montaonda n. 23: In bilico, ovvero più di là che di qua


Sto per partire e un po’ mi spiace, in questo momento i colori del bosco sono al massimo splendore, verrebbe voglia di non far altro che passeggiare col naso per aria. E invece ho un sacco di cose da sbrigare, domani me ne torno a Milano e poi sabato prossimo “stacco l’ombra da terra”, volo a Kathmandù. Ho grandi aspettative da queste tre settimane in oriente, un po’ ho studiato, un po’ mi hanno caricato gli amici che ci sono stati, un po’ ho degli ottimi contatti, perché mi ospiterà l’amica Maria, che è lì da cinque mesi, e poi c’è chi mi ha raccomandato ad altri.
Qui, la situazione che lascio, non è male, in cantina c’è legna a sufficienza per riaccogliermi a metà dicembre anche con pioggia o gelo, anche il vino non manca, e poi tanti progetti e cose in ballo. La lotta del comitato contro l’impianto eolico sul crinale, visti gli ultimi sviluppi, pare abbastanza consolidata: sarà probabilmente ancora una lunga battaglia, ci sarà tempo per fare. Per gli amici del comitato butto lì che parto per un viaggio di lavoro, il Vaticano mi ha incaricato di verificare questa storia delle bandierine nepalesi, che spargono preghiere al vento: si riuscisse ad applicarle alle pale, avremmo preghiere automatiche e gratis, in gran quantità, e questo ci permetterebbe di rivoluzionare tutto l’aldilà ed eliminare la lunga attesa nel purgatorio, garantendo invece una rapida e democratica ascesa in paradiso a tutti, in primis quanti hanno escogitato e realizzato questo bel sistema d’espiazione meccanica. E, mi viene in mente ora, ci potrei aggiungere pure un’appendice di studio su frequenza e incidenza del sacrificio automatico dei volatili arrotati dalle pale (non saran polli ad Escula-pio, ma chirotteri a Padre-pio, rapaci a San Giovanni Paolo Rotondo, insomma, visti i tempi sarebbe anche ora di tornare al sacrificio cruento, no?, un bel brivido religioso, col bollino papale, invece di continuare a massacrarci nelle maniere più invereconde e nichiliste).
Il vecchio e primitivo rosario snocciolato e consumato nelle serate d’inverno davanti a fuoco e castagne finirebbe nei musei, a far da contraltare ai giganteschi marroni dei mugellani ( eggià, il rischio è che l’inferno, con il fragore perenne del mulino-macina del tempo, si trasferisca di qua).


Morsellianità a parte, sono invece un po’ indietro con l’impianto fotovoltaico, speravo di averlo montato per l’autunno, invece non è così semplice, la divina Sovrintendenza al paesaggio, che in deroga al suddetto per priorità di elettrica salvazione umana ammetterà forse pale alte 150 metri, di sicuro mi costringe a costruire i miei pilastrini di cemento, ricoprendoli in pietra, invece di permettermi di usare semplici pali di legno, prendendosi poi per diritto suo ed esclusivo 60 giorni di tempo per non dire nulla, ovvero per non obiettare sul progetto modificato secondo le sue già menzionate richieste e che quindi – salvo uno sia proprio deficiente - dovrebbe già essere perfettamente idoneo. Ma lungi da farmi preda di ugge gaddiane, porto pazienza, e dò solida prova di serafico orientalismo: anche questi mesi passeranno, e in fondo, perché rovinarsi la salute quando posso fare cose molto più interessanti? Per esempio, mentre i pannelli stagionano insieme ai formaggi nell’ombra della cantina, guardo fuori dalla finestra e chiacchiero coi ragni, ce ne sono due che si sono ricavati una specie di bozzolo-nascondiglio di bava sotto la cornice del vetro, e stanno lì da settimane, a guatare, aspettando, anche loro, una vittima (e se non arrivasse?).

Medito, e nella mia frenesia milanese concludo che potrei fondare una nuova setta sincrorientale, proclamarmi pontifex maximus “del Ragno d’oro”, che nella sua sublime epifanesi si dota di buddica pancetta, e di otto braccia, da vero mächtiger Gott (Heil Shiva!). E chi ci dice che il Ragno Guatama non sorrida, pure? Quanto alla danza dell’ottòpede, eh… Potrei quindi riesumare antichi culti misterici greci e salentini, chiamare i miei discepoli Guantanamomanìtes e fondare la disciplina su segregazione, meditazione, immobilità, salvo prescrivere una danza da fare sì carponi ma con slanci e improvvise scosse elettrizzanti verso l’alto, saltando su reti permaflex, sussurrando il mantra bidibodobù - e invece di meditare sulla luce increata del monte Tabor, via a flettere e riflettere sui mille significati del filo di luce (ovvero Luca e l’epifania della ragnatela in faccia, ogni volta che entro nella criptocantina?), quella splendente secrezione setosa a cui sta appesa la vita, ragno imago dell’alpinista che si slancia nell’altissime quote dello spirito – e le parche! Kloto Lachesis e quell’altra… chisselaricorda la terza, che filano e tessono il nostro destino come una copertina e sudario (questa mia frenetica fantasia teriomorfica dev’essere dovuta alla visione della Piccola volpe astuta di Janàcek, cui ho assistito due giorni fa al Comunale, splendida reverie del ’26 sul senso della vita nella campagna morava).
Vedremo, vedremo se tornerò dall’oriente ricco di nuove sapienze antiche (gettate finalmente le vecchie), illuminato o annebbiato, rischiarato dall’aria cristallina delle grandi vette o turbato dallo spettacolo della vita grezza, allo stato puro, dalle omeriche pulci o dai socratici piedi nudi, dai santoni che vivono come cinici, come cani (ricordo una foto di filosofi Bamayana, in Mali, seduti per terra, indistinguibili da poveri senzatetto).
Certo qui lascio, oltre al conto in banca, un forte desiderio di tornare, perché nei momenti di dubbio – o consapevolezza? - mi vedo preso dalla fregola di andare finalmente – ho esaurito le scorte! - a far compere nel grande centro commerciale, ma soprattutto per tornare poi carico di pacchi, e sciorinare sul tavolo e nelle soirees di valle le mille meraviglie acquistate ovviamente per una bazzecola. L’oriente non è in fondo un grande magazzino della spiritualità? Fachiri, lama guaritori, astrologi, sciamani, in Nepal c’è di tutto, chissà quali consulterò e soprattutto cosa mi diranno e mi faranno fare (per non parlare di tessuti, incensi e dei mille altri santini e magici oggetti di cui mi riempirò la casa).


Mi spiace non portarmi dietro il sax (ma forse chissà, troverò la qualche magico flauto), perché ci sto prendendo gusto a studiare, è così bello avere finalmente e di nuovo qualcuno che ti corregge, che ti dice facilmente e con certezza dove stai sbagliando e ti incoraggia a migliorarti (Lucia, la maestra della banda del paese). Suonare uno strumento a fiato è un’emozione particolare, è vibrare, animarlo e animarsi, è come parlare dietro una maschera, l’aria esce dai miei polmoni e diventa suono forte, potente, armonioso (non ancora tanto, però, insomma…). E poi anche Buddha, è certo, in gioventù si dilettava col flauto. Da sempre ho considerato la musica – e proprio la nostra classica - come una delle poche cose decenti risultate dalla nostra sempre più franante (queste frane, queste eterne frane, vorranno ben dire qualcosa, no?) cultura occidentale; infatti tutti ce l’ammirano, un’orchestra di 60 elementi è una vera goduria, nessun'altra cultura al mondo possiede credo un apparato musicale del genere. Non che io speri tanto, perché come diceva non ricordo più chi (forse era ancora Herringel nel suo Tiro con l’arco?) ci vuole anche il talento, e quello è un dono divino che non tutti hanno, io no di sicuro. E comunque non è vero che abbiamo solo la musica, grande castronata ho detto, o forse sì oggi, mi viene da aggiungere, ricordando quando l’amico Marco, esperto di pittura italiana, cercava di spiegarmi i misteri dell’incarnato, ovvero di come in pittura nei secoli si sia imparato a rendere e raffigurare la trasparenza della pelle, la pelle umana, mostrando sulla tela la vita e la sostanza morbida della carne e del corpo, soprattutto femmineo, angelico ma terrestre, un miracolo dell’arte e del talento, senz’altro! Per non parlare della danza, del teatro e del canto delle molte arti! Ma, permettetemi! - nel mondo d’oggi valgono quanto un peto di vecchia. Ahimè, eravamo un popolo pieno di talenti, i famosi Italiani!…

Ecco, si dice che i nepalesi e i tibetani che da loro si sono rifugiati abbiano, almeno fino a pochi anni fa, assai sviluppato il talento per la spiritualità. Quindi me ne vado e vedo, se riesco a racimolarne un po’, e poi vi racconto (e poi mi dicono che non faccio inchieste, giornalismo d’attualità. Mah!).




Ilustrazioni:
Per suggerire riflessioni post-heideggeriane sull’altra nostra specialità d’occidente, la tecnica, e i suoi benefici (tra cui le psicopompiche pale eoliche), illustro questo mio bollettino assai pedante con:
foto 1-2: scattate il giorno 3 novembre, la prima alle 11.22 in uscita da Milano (A1, Melegnano), la seconda alle 14.41 a Montaonda
foto 3-4: illustrazioni tratte da Der Grosse Brockhaus, anno MCMXXXI (stavo sfogliando alla ricerca di un’immagine di Shiva, Schiwa, e m’imbatto nella voce Schlachthaus: al vostro buon talento trarre analogie e conclusioni).

2 commenti:

  1. Ciao Luca,
    devo essermi perso qualcosa, mi sa.
    Ma Chiara - non la Milanesi che saluto se mi leggerà - ma l'altra, la quasi tua fidanzata, che fine ha fatto? Non è nominata da tempo e il Ctrl+F mi riporta molti "chiaramente" ma l'ultimo "Chiara" (a parte la menzione dei frammenti di damigiana da lei rotta) risale ad aprile quando ti dice che vorrebbe passare più tempo a Monteonda con te. Tutto finito, oppure lei è già a Katmandù? Ma poi che me ne frega, sono cose tue private, ma sai, quando cominci a narrare e i lettori s'appassionano non puoi tradirli, pena l'abbandono del libro. Lo sai meglio di me. :-)
    Ciao e buon viaggio,
    Stefano (Marcelli)

    RispondiElimina
  2. Caro Ste,
    ... la Chiara fidanzata era così insoddisfatta di sé che ha deciso di appartarsi fuori dal mondo, per un anno, e rimettersi a posto. A me invece andava bene com'era... cmq vedremo, se son rose fioriranno, altrimenti le auguro tanta felicità.
    Ma poi: dai che si capiva, che la mia ricerca è tornata quella di un solitario (e in fondo quando si cerca si cerca sempre soli, o no?)

    RispondiElimina