venerdì 9 maggio 2008

bollettino Montaonda 10 pic


Cari tutti ecco qua...

...mi fa fatica, mettermi al computer e scrivere.
Eppure, da un po’ di giorni in qua, mentre lavoro
penso devo scrivere il bollettino, cribbio sono in
ritardo, e intanto che sudo e fatico penso a frasi per
raccontare quello che faccio, come sono andato a
scegliere una scala di ben 6,8 m in tre segmenti, e
poi ci sono salito per pulire le gronde anche nel
punto più alto, dove da terra vedevo sporgere verdi
erbette in fiore. Certo mi è di conforto pensare di
portarvi con me quassù, mentre mi libro sul 15° piolo
di questa scala d’alluminio e lavoro di cazzuola
affannosamente, rovesciandomi metà del contenuto
fradicio della gronda (fiori di cipresso caduti) nella
scollatura della maglietta. Mi sento in bilico, e mi
aggrappo con una mano alla gronda, perché questo nuove
scale di sicurezza hanno una base maledettamente
larga, un trespolo di circa un metro, e quindi se non
è in asse non poggia diritta e anzi va su parecchio
storta, per cui è veramente difficile collocarle, ho
dovuto impilare due pietre, perché a MO a parte la
gronda e il tetto nulla è in piano. Maledizione, mi
dicevo come era più comoda la scala alta di mio nonno,
quella fatta credo in frassino, un tronco snello
tagliato per il lungo con pioli tondi e bombati, una
specie di dirigibile da trasportare, peggio di
Ridolini, che quando si andava a prenderla nell’orto,
appesa sotto la tettoia, bisognava stare bene attenti
a non tagliare le teste alle rose, tagliando le curve,
anche se si era in due. Era un pezzo unico, era
stretta, era vecchia, e noi ragazzi incitati dal nonno
che diceva vai vai indicando dove c’erano ancora delle
ciliegie si saliva strisciando su come marines nel
Vietnam temendo una sventagliata del nemico. Era forse
da allora che non salivo così in alto su una scala, a
parte quelle delle ferrate nella parentesi
alpinistica, e subito ho riconosciuto lo stessi timore
che dopo i primi gradini ti incolla alla scala, che ti
obbliga a girare il ginocchio all’esterno, invece che
stando diritti e a braccia tese.
E poi dovrei raccontare altro, faccio e accadono un
sacco di cose, che non riuscirei nemmeno a elencare.
Ora fa caldo e l’aria è profumata, sono fioriti i
frassini e tra poco lo saranno anche i sambuchi. Ho
finito di tagliare gli ultmi ailanti sul versante
uliveto, ma restano ancora un sacco di ramaglie per
terra, i miei validi aiutanti mi hanno piantato in
asso. Sto imparando a usare il decespugliatore, ma
ancora ne manca. Il mio taglio è irregolare, e solo il
rastrello mi dà qualche soddisfazione. In cambio ho
imparato ad affilare la motosega, e ora taglia la
legna come fosse burro. Oggi ho ripulito dagli sterpi
l’aioletta davanti all’ingresso, homosso un po’ la
terra. È curioso vedere che sono tutte cose che
conosco e ho già fatto, questi gesti mi ricollegano
all’infanzia in montagna (con la parentesi campagnola
di Aizurro, ma quella era una villetta in Brianza, qui
invece è di nuovo lavoro sul paesaggio, sulla pietra).
Poi ieri ho pulito la stanza aperta, e anche lì in
cima alla scala, e oggi ho stuccato. Domani darò la
prima mano di bianco, e poi vedremo. Verso il 15
tornerò a milano per fare il resto del trasloco, le
cose grosse, e chiudere definitivamente la casa.
Ah, naturalmente, la stagione estiva è aperta. Ospiti
plurimi sono benvenuti, anche se le condizioni della
cucina sono ancora provvisorie (spero per poco), ma
dignitose, e le stanze un poco ingombre di masserizie,
ma pulite. Fuori si sta da dio, uccellini eccetera. Il
telefono: la banda larga non me la danno, la telekom
mi ha rinviato due appuntamenti. Il 13 mi hanno
promesso che mi daranno il telefono. Vedremo.

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