sabato 21 marzo 2009

Bollettino 17: Neve a primavera



Stamattina, dopo la lunga riunione di ieri sera in consiglio comunale, che ha segnato la fine di una settimana di sbattimenti per il comitato contro l’impianto industriale eolico che vogliono costruirci sopra le spalle, nevica di brutto. Marzo pazzerello, davvero: dopo avere già preso il sole e lavorato in maglietta nel campo, quando già accendevo la stufa solo la sera per avere l’acqua calda, eccoci ripiombati nell’inverno. Due giornate di tramontano che continuano a portare vento gelo e neve. Guardo fuori dalla finestra il sambuco con le prime foglioline, e l’alloro, tirati e piegati dal vento come alghe dalla corrente di un fiume, e vedo davanti a me miriadi e miriadi, miliardi e miliardi di fiocchi di neve che scendono dal crinale verso valle, passando davanti alla mia finestra, al tetto del vicino, rapidi e veloci come l’acqua di un fiume impetuoso in piena, inesauribile, la corrente che gira attorno a un masso.
Proprio ieri si è discusso tre ore col sindaco e la giunta, accanitamente, da una parte e dall’altra, spazientiti, noi, senza però perdere il controllo. Ormai ho capito, grazie anche agli scambi con gli amici che non sono qui, bisogna avere una grande pazienza, davvero molti non si rendono conto che queste grandi pale sono soltanto una grande e orribile speculazione, che gli unici veri vantaggi che portano sono alle aziende che le costruiscono, e che distruggono il terreno e la vita dove vengono impiantati. Non è pessimismo cosmico, mi sono documentato, su internet è facile, ma non lo fa nessuno fino a che non si trova alle strette, come è successo a noi, con la minaccia delle pale sopra la testa. Ormai si ragiona per categorie acquisite, eolico buono, baluardo contro il nucleare. Non è vero, affatto, andate a controllare. Digitate sui motori, fate come vi pare, ma cercate, e capirete. È come guardare la guerra al telegionarle – o trovarcisi in mezzo.
E così in paese, pensando di aumentare il benessere comune – voglio crederlo con tutte le mie forze - accettano questo mega progetto da 81 milioni di euro che gli servono su un piatto d’argento, e non si accorgono di possedere già la ricchezza suprema, quella biblica, la pace e la tranquillità, la prosperità di un ambiente intatto, dove di notte non i senzatetto ma i cervi vengono a frugare nella spazzatura, dove di notte sulle strade deserte bisogna stare attenti a non stirare i tassi; vogliono svendere l’integrità della nostra valle per 300 000 euro l’anno (forse), un piatto di lenticchie, nel bilancio dell’amministrazione comunale, a un colosso della speculazione nazionale. A San Gondenzo non ci sono poveri, né vecchini che fanno la fame. Ma la smania, in questo mondo, è grande.
Dall’altro lato il comitato mi ha portato nuovi amici, ho imparato strade e case che non sospettavo nemmeno. Ho ritrovato una vecchia amicizia, con Danielone, ho conosciuto gente che come me è venuta qui per lottare e conquistarsi il paradiso in terra. Discorso mio e lungo, mille volte accennato e destinato a restare mai compiuto, ritornare alla mia generazione, scoprire gente che è nata un mese, sei mesi o un anno prima o dopo di me, confrontarsi con chi ha figli adolescenti, rughe sul volto, famiglie e case, radicati, dico, qui da più di vent’anni, e che magari han visto davvero tutto il mondo, perché vengono quasi tutti da fuori, ecco dov’erano finiti, con esperienze e vite autentiche, non trascorse davanti alla televisione (o sui libri?), ma al di là dello schermo, inviati da e per se stessi.
Lo aspettavo, forse lo cercavo, come aspettavo il mio inserimento in questa comunità – ed è significativo che ieri, mentre spiegavo davanti a tutti le mie ragioni con ritrovata voce, la mia, così stentorea da intimorirmi e indurmi di solito a reprimerla, la sindaca, al centro del bancone, come un giudice o un presidente di commissione, mi abbia chiesto come mi chiamo, e l’ho potuto dire, con una certa fierezza, son Luca Vitali, faccio il traduttore, schon ein Bekenntnis (parole d’aiuto: confessione, professione, dichiarazione, ammissione).
Don Chisciotte, in reltà lo sappiamo tutti benissimo e dobbiamo solo dircelo, perdendo vince sempre, perché la sua vittoria è già il balzare in sella, lo scegliersi eroe di romanzo - visto che poi, tanto, il delirio è la realtà collettiva. Eccoli lì i mulini a vento, ora son alti 155 metri, 100 metri il diametro dei rotori, altro che Ronzinante, più nella misura di guerre stellari…
Guardo la neve che corre in orizzontale, sento il freddo che filtra dalla finestra come una coperta diaccia e si stende alla ricerca dei miei piedi. Ho messo i calzerotti, credevo non doverlo fare più fino all’autunno. Non importa, questa coda d’inverno non è sgradita, non durerà, la sento piuttosto come una forma di congedo, di ultimo morso di quest’amante dura e implacabile che è la stagione, la regina Falterona, figura mozartiana dallo scintillante manto nevoso…
Quante cose non ho scritto, detto, di questi ultimi due mesi. Un paio di volte ci ho provato, ho iniziato, poi il filo si è interrotto e riannodarlo non è cosa da due minuti…
La neve tirata dal vento, me ne accorgo fissandola, ci dà modo di vedere l’aria che si muove: i fiocchi diventano tanti piccoli segnalini, che trapuntano come una coperta il percorso della corrente da cui son portati. Qui, davanti a me, finalmente visibile l’aria scorre in orizzontale, mentre le folate s’impennano, s’abbattono, una diversa dall’altra, contemporaneamente, girano intorno al tetto della casa, scuotono gli alberi, ristagnano attorno ai comignoli e dietro ai tetti, come bimbi in fuga, appiattiti dietro un angolo per riprendere fiato. Lo sapevo già, l’aria è un fluido, una corrente, dentro cui nuotiamo sospesi, respirando. Ora la vedo, l’invisibile è diventato visibile.
Noi del comitato non siamo contro l’eolico, abbiamo continuato a ripeterlo ieri sera, siamo contro la speculazione, e ora mentre guardo la neve sto pensando a dove metterò i miei piccoli rotori verticali savonius, alti 70 cm o un metro e mezzo, elicolidali, se sul tetto o dietro, se metterne uno due o anche di più, sono, come mi diceva un ingegnere di Prato che li installa, poco più che nani da giardino. Non abbattono uccelli, perché a differenza delle pale si vedono sempre, e poi prendono il vento da tutte le parti e non da una sola, e quando il vento è troppo forte continuano a girare e semplicemente l’aria in eccesso gli si apre attorno, come davanti a un qualunque ostacolo. Non è vero che bisogna accettare il male minore, come diceva ieri un consigliere in giunta, anche perché non sempre riusciamo a capire quale sarà l’entità del male che causiamo. Il male non si può scegliere, occorre rifiutarlo e cercare più forte il bene. I savonius gireranno, li immagino già vorticare ora sul comignolo del vicino, mentre vedo l’aria tirare diritta, e sto meditando se colorarli d’oro, trasformarli in rulli di preghiera tibetana, che riversino sulla mia casa, sulla valle, ondate di preghiere meccaniche, di salute e prosperità, golem senza dio né padroni, altro che nani di gesso.
Il vento è cambiato e per un attimo la neve mi viene incontro, un po’ come le stelle in Star Trek, quando si buca l’iperspazio. E così mi sento odisseico, nuotare in questo mondo amniotico, placentare, diceva Sloterdjik, mi accorgo che siamo tutti presi e impennati da venti e correnti - ogni tanto si butta fuori la testa per guardarsi attorno e poi via, di nuovo, fino al prossimo bollettino… nuotare nuotare nuotare, una bracciata dopo l’altra, padroneggiando la nostra corta apnea.
l.
Immaginate la danza del cipresso in fiore