giovedì 7 marzo 2013

Ho visto i mostri (e non sono i grillini)




Credevo non ci fossero più, da chissà quanto tempo. Per loro e per me. E invece, mi accorgo, è un periodo in cui sto riconsiderando tutta una serie di parametri, soprattutto del mio pensiero, per quanto riguarda la società, il presente e futuro, anche il rapporto col cosmo, nel senso di materia, piante, animali. È un percorso molto interessante, sto scoprendo nuove e ricche prospettive, come l'antispecismo (per dirne una su cui conto prima o poi di ritornare). Che non ha niente a che vedere con fanatismi da settari ribelli, piuttosto prospettive filosofiche, ermeneutiche, con tutti gli addentellati di morale spicciola, antropologia e sociologia (anche del consumo, ovviamente). Addirittura (sono stato a un convegno, ecco che è successo) tutto questo mi ha rispolverato il vecchio amore per la storia e fenomenologia della religione. Dal punto di vista dell'appassionato delle forme, del fenomenologo, non certo del credente; ma forse ora - scomparso da pochi giorni il monoteismo dalla terra (giàggià, chi l'avrebbe mai detto, il Papa ha dato forfait, e questa è enorme, ci vorrebbe Quinzio a commentarla, ma avessi tempo cercherei di scoprire che ne dicono Kung e gli altri tedeschi), ora che il cattolicesimo ha sgrombrato il campo e si è tolto dal sacro, anche magari come praticante e ricercante (Suchende, dicevano i crucchi all'inzio del Novecento), di nuove fedi e soprattutto di un sacro (il sacro, per quanto laici si voglia essere,  non si può eliminare dalla nostra prospettiva - solo che pochi vogliono ammetterlo). E chissà, se avessi il tempo di approfondire la questione dove e in compagnia di chi mi ritroverei.
Ma non posso, perché devo lavorare molto e duramente per mandare avanti i miei progetti, e guadagnare la pagnotta (alla mortadella ho rinunciato da tempo, ora voglio provare a rinunciare pure al cacio).
Fortuna vuole che per me lavorare voglia dire occuparmi di libri - gli amati e sospirati. Così, per caso, mi ritrovo a tradurre per conto terzi un libro di divulgazione psicologica sul rapporto adolescenti-genitori. Interessantissimo, soprattutto per me che non ho adolescenti, e genitore non sarò (ma adolescente sono stato e genitori ho avuto). Per me, insomma che il mostro (uso termini del libro) non si sustanzia in questi piccoli vampiri, che succhiano il sangue e la vita a chi, quando tutto diventa sempre più faticoso e stressante (potrebbe comportarsi diversamente un mondo al collasso?) fa una fatica boia a tirare la carretta (anche in senso metaforico). Ma nel mio passato. Nel mio antro "Dentro me".
Fine del preambolo. Dunque, come accennato in post recenti, anch'io ho i miei problemi e li voglio affrontare. Non solo con i computer e la connettività (mannaggia, non apro nemmeno il discorso) ma anche con le persone e la socialità (mannaggia due). Anche in questi giorni me ne sto qui rintanato mentre fuori nevica, e mi sembra di essere l'Eternauta (il disastro atomico alla sudamericana era metafora del politico, proprio come oggi), mentre la scorta di legna si assottiglia e devo comunque lavorare tutto il giorno.

Ma oggi, proprio oggi domenica 24 febbraio in uno sprazzo di sole tra una tempesta e l'altra sono uscito, mi sono regalato una passeggiatina fino ai roccioni sospesi, quelli che qui chiamiamo le spiagge, dove con la neve non ero mai stato.
Appena uscito, davanti alla legnaia sul retro, trovo una piccola pozza rossa di sangue (scenografica, sulla neve bianca, il ceppo dove spacco la legna eccetera!), sembra ancora vivo, e zampate di gatto nella neve. Devono avere litigato furiosamente, chissà quali, chissà come. Com'è dura la loro legge, hanno cibo e cucce, eppure non smettono di affrontarsi. A sangue.


Bella la neve, incantanta - ho anche letto il libro di quel tale Sapienza, ma devo dire che mi ha un po' deluso. Così preferisco ricordare la passeggiata di Hans Castorp nella Zauberberg, o l'ultima passeggiata di Natale di Robert Walser (altarini personali)... attraverso il mio borgo fantasma - lo dico mio perché vi possiedo un rudere (questo, quello, non so bene) e già su questo posso riflettere. Nel pratone grosso sotto la casa dei nonni in montagna c'era un rudere di baita completamente a terra, restava giusto un mucchio di sassi alti mezzo metro e con le mura a segnarne il perimetro, in mezzo al prato. Lo chiamavamo "La nave", e chi gettato o altrimenti vi cadeva, nell'erba alta a fieno, era morto. A ripensarci buona parte della mia infanzia (ma anche ora) è segnata di visite a case abbandonate e crollate o bruciate - alcune di famiglia. E ancora oggi quando ne incontro qualcuno me la guardo da vicino, attratto (come) da vestigia di mondi scomparsi. E noi italiani siamo abituati a pascolare le greggi tra le rovine, a giocare da piccoli conquistatori tra sassi rovi e vipere. Si può ben dire, no?




Il pensiero del sacro mi è ritornato qui, quanto ho detto prima è collegato a questa epifania, il pensiero è scaturito da sé, davanti a questa erma o cappelletta (così familiare nei miei cammini, come in quelli di tutti, scanditi di cappellette e croci, croci e vette) - ma anomala, non umana (non come volontà dedicatoria, almeno): si è formata "da sé" (to automaton), e non ha santi dipinti: è soltanto un muro crollato con un provvisorio, effimero tetto di neve. Il sole ci proietta l'ombra di un albero, e la ghirlanda d'edera, che pare indossata come una collana di divinità orientale, reca il messaggio della pittura vegetale: sostiene e al muro si sostiene, l'ellera, come si dice qui, la stessa che due, tremila anni fa piaceva tanto a Dioniso, dio del vigore naturale, della rinascita,  paganissimo e furente tra tutti gli dei greci, eppure, guarda un po', anche cristianissimo, con morte e rinascita e tutti quegli attributi (anche la barba, discettavano gli antichi) che ritroviamo nel culto cristiano...

La neve è immacolata, vergine (non ancora profanata, questo il concetto: siamo al di fuori della giurisdizione umana, dicono tutti questi segnali. Grazie alla neve sto trapassando in un altro modo, un Oltretomba, direbbe un interprete di racconti sciamanici). Il bianco funebre. Supero il borgo fantasma, arrivo sul crinale che il sole è accecante. Qui trovo la traccia fresca di un cervo (la foto l'ho messa nel post precedente a indicare un legame e un cammino) - animale mitico il cervo, solare,  preda regale, il re della foresta (non il leone...), superbo, che non si spaventa davanti all'uomo. Forse è sempre lo stesso, che ho già incontrato più volte, l'ultima al parcheggio un mesetto fa.
Bell'epifania il cervo, no? Grande quasi come un cavallo, con quelle ampie corna rivolte al cielo, come rami di un albero... un albero in testa (questo sono le corna?) ... e il sole in mezzo, se non sbaglio anche a Kathmandu. E quando parte, trema il terreno.




Proseguo sul lato nord, la neve qui è più alta, gettata dal tramontano oltre il crinale, si sono formati dei ghiaccioli suggestivi, succede spesso quando la temperatura  è  bassa ma non troppo.
Non c'è bisogno di andare in Alaska per trovare la neve e la sua magica corte, che blocca e ferma l'uomo, lo fa annaspare e stupire. La neve, il cielo solidificato in terra.
Perché mi e ci piace tanto la neve? Perché ci fa sognare di essere sperduti in un enorme diorama. Dio-rama, bella parola di cui devo ringraziare l'amico Mauro, che li costruisce con passione per ambientarvi i suoi trofei; ovviamente non c'entra con Dio, credo che sia il participio passato del verbo greco dia-orao (Wiki non lo dice), quindi veduta-attraverso, nel senso di una sezione di un Pan-orama (non c'entra col dio, l'altro, il selvaggio terrore in noi che Hillman ci spiegava!), in cui si vede tutto. Una sezione, un angolo di mondo. Quello che vedo io oggi, tanti diorami in serie: le tracce di sangue, la cappella a Dioniso, e ora...




Chi sono i miei mostri?
Sembrano masse nere, boliw, figure buzzatiane e senz'occhi (tranne questo qui in mezzo, che pare un capodoglio - cliccate sull'immagine, si allarga). Una fila in agguato, escono come mastodontici rettili neri dalla terra scoperchiata, chasma, hanno denti lunghi come spade, fronti inesistenti, musi ossuti.
Ci passo sotto, come in rassegna davanti a dinosauri congelati, mammutoni in esposizione, da museo naturale di storia etnopsicologica.
Sono lì, sono sempre lì, pronti a balzare sulla valle. Ma oggi, grazie alla neve, hanno denti affilati, scintillanti, bocche spalancate, sembrano risvegliati.

Ridono, pensano, sbranano? Non lo so, come i boliw celano il segreto della loro essenza, mi paiono potenza di materia pura. Loro forza è la roccia, la massa che si racchiude in se stessa. Lo slancio in avanti, la persistenza - quella che noi non siamo, che non avremo mai. Che è il segno del nostro eterno fallimento (quando scemi vi ci scagliamo contro). Umani noi, animali: involucri caldi palpitanti di sangue rosso. Loro non vivi, immortali. Dei eterni, a noi ignoti. Ma anche: forme, sostanza. Penso ai monoliti dell'isola di Pasqua. Ma loro sembrano qui pronti a balzare per divorarmi in un boccone con l'alito gelido dell'inverno, tutta la forza del freddo e del ghiaccio, della roccia insensibile, schiacciare la molle impermanenza.




Gioco, gli dò dei nomi: questa la bocca dello squalo (di Spielberg, ovviamente).




L'orca. L'Orco. È qui. Qui: gli guardo tra i denti, la gola rossastra. Quasi ci credo. Non è così che nasce una leggenda? Qui? Oggi! Mi metto in posa, mi acquatto tra le sue enormi fauci e faccio una foto ricordo, come a Disneyword.
Proseguo, passo proprio lì, dove ancora non c'è traccia, tra le fauci dell'Orca e i lunghi aculei ghiacciati della ginestra, come il misero Odisseo tra Scilla e Cariddi. Meschino!
I miei pensieri continuano a ronzare, grevi, e ora sento anche incombere su di me questi mostri neri. Sento una grande stanchezza, che non è mancanza di energia, non è dovuta all'età o al fiato corto, ma in qualche modo anche: passa la voglia di darsi da fare, in tutto questo sfacelo, per chi e per cosa, ci si chiede. Dov'è finita la storia, dov'è la giustizia? La morale, la scienza? (per non parlare del resto).
(Anche del futuro non parliamo, è quasi trent'anni che l'ultimo, caso mai gli fosse scappato, l'han fatto secco a Chernobil).  
Confesso la mia non voglia di affrontare le difficoltà. L'indifferenza del mondo (pur non indifferente io). Anzi, niente mondo. Non c'è più mondo. Immondo, se mai (e i nuovi dei li andremo a cercare con i nipotini di Lovecraft, Dylan Dog e Tarantino).
Confesso la mia piccolezza (non so nulla e non posso nulla di fronte all'immensità delle stupide conoscenze diffuse e/o disperse e/o necessarie per affrontare qualunque questione). Se parlo è per lamentarmi, non certo per dire (e che?!)
Ah, poi detesto la pressione economica (la più forte... e che poi in realtà io sono ricco!), che mi stressa e mi fa sentire infelice. Dico intenzionalmente così, perché così è: mi fa sentire infelice, anche se in realtà non lo sono.




Continuo, arrivo al crinale delle Spiagge. Guardo giù ma in fretta, il tempo si è guastato. Ritorna la tormenta dal Falterona. Vedo già turbinare la neve sopra Serignana, sta venendo verso da me, una nebula bianca scaricata da una nube nera come il ventre di un bombardiere. Meglio tornare, e in fretta. Non ho nemmeno il berretto, io, che ero uscito col sole.
Ecco, questa la passeggiata dei mostri. Animali mitologici, demoni, quasi dei - oppure piaghe, bibliche e  malattie della psiche (era Jung: "gli dei non sono che le malattie degli uomini").
Me li ritrovo davanti i neri mostri, minacciosi, tornando giù verso casa. Fan quasi paura, così protesi verso la valle, il mondo degli uomini. Se ora girasse il tempo e riscoppiasse la tempesta, potrebbero prendere altra forza, e balzare giù dal monte, verso il mondo degli uomini.
Non succede, rientro per tempo, e anche quest'inverno, spero, è finito. Domani andrò a votare, per chi so io, sissignori!
Ma ora lo so. Nelle giornate particolarmente fredde, quando il tramontano ha soffiato notte e giorno, la neve si è ammucchiata sull'uscio di casa, piegando i rami anche dei cipressi più dritti, quando nessuno osa venire quassù, sulla montagna, regno delle creature selvatiche, di piante contorte e di pietre e venti, ecco che escono i denti, si spalancano le fauci... li vedete, potete vederli anche voi?