lunedì 7 maggio 2012

Bollettino n. 34: Saltiamo al Maggio






La primavera anche a Montaonda è stata un po' strana, prima calda e secca, poi fredda e umida, ora passata la Pasqua in un battibaleno siamo a maggio. E così per la seconda volta ho partecipato in veste di suonatore al maggio di San Godenzo. Per chi non lo sapesse - e credo sia la maggioranza dei lettori questo blog - il maggio è un antico rito della società agraria che ancora vive più o meno spontaneo o istituzionalizzato sull'Appennino, dal Piemonte al centr'Italia. Dato per morto nel dopoguerra, è risorto dagli anni '70 in poi, con varietà di luoghi e condizioni.
Il 30 di aprile, al termine del lavoro (chi lavora) i maggiaioli si danno appuntamento per portare musica e balli di tradizione (vecchia e nuova) sul territorio, passando di casa in casa a offrire fiori e canti, a chiedere da bere e da mangiare (si parla di uova, ma spesso saltano fuori pizze e crostini, crostate e tarallucci) per tutti. Naturalmente si fa tardi, e il giorno dopo per fortuna è festa.
I maggiaioli di San Godenzo sono un gruppo un po' particolare, perché composto in gran parte da una folta schiera di persone (e personaggi) venute da fuori, "la banda" si chiama, ovvero i protagonisti di quell'ondata di popolamento delle coloniche avvenuta a partire dagli anni '80, profughi di esperienze metropolitane o semplicemente esuli da un mondo non amato (per chi volesse approfondire consiglierei il libretto: Dagli Appennini a Piazza Navona, Equilibri Stampa alternativa - da tempo esaurito e introvabile). Tra cui, è bene dirlo, son forse io l'ultimo arrivato.
Ciò non toglie che ci sia una buona percentuale di nativi, a salvare l'accento e l'autenticità locale. Tra tutti ci sono alcuni musicisti esperti, talenti canori, un valido ricercatore di musica popolare, che ha girato in lungo e in largo le montagne del Mugello e del Casentino, ed elementi della più pura tradizione orale (chi ha imparato i canti in famiglia).
Non mancano figure invece di diversa origine, che però si armonizzano perfettamente nel gruppo (per esempio, qualcuno si chiederà cosa ci fa un simile ensemble un guitarron messicano? Fa la parte del bassetto, risponde il filologo...).



Insomma, il 5 maggio si è replicata l'uscita (per tutto il mese di maggio ci sono appuntamenti nelle varie frazioni e paesi limitrofi), a Corella. Siamo andati a salutare una casa di ragazzi, arrivati da poco e che stanno sistemando una bella colonica sul fianco della collina, poi da Marina e Franco (anche loro hanno fatto a parte della banda), e poi al circolino (Arci, Acli, non so più).
Ogni volta che si arriva sull'aia un cantore fa un'ottava di saluto e chiede il permesso di cantare. Accordato il permesso, si fanno un paio di canti augurali (il maggio vero e proprio, forse qualcuno ricorda quello rifatto da Riccardo Tesi, con Bandaitaliana), utili a ribadire il proprio desiderio di appartenenza culturale al mondo agrario e alla campagna più in genere (non è poco, rifletto ora immaginando il giorno in cui capitasse a me, che una banda di maggianti si fermasse davanti a casa mia, chiedendo il permesso di cantare). È uno scambio semplice, ma che sancisce da un lato l'appartenenza al territorio molto più di tanti certificati che tutti ahimé ben conosciamo, e dall'altro la conoscenza diretta in loco - in questa maniera si scopre per esempio: la Marta è la vicina di Marina e Franco! Non la vedevo da anni, e da 30 km di distanza, e ora eccola lì, ora pure con figliola e marito!
Se poi capita di incontrare gli anziani - come al circolino - è commuovente (per loro ma anche per noi) vedere con quanto entusiasmo rivivono momenti della loro gioventù passata; momenti basati su cose apparentemente semplici, fatti di canzoni, di giri di walzer o mazurke, di sguardi e cenni, che però nascondono, a noi che non la sappiamo, tutta una trama intessuta di un vissuto diverso, altrettanto e anzi certamente più profondo del presente (ci vol poho), in cui cosa era legata a cosa, tempo a tempo, persona a persona. E se avete letto Sacks sapete come funziona la memoria, come si costruisce la nostra mente e la coscenza stessa, la rete neuronale, le sinapsi: le musiche ascoltate da giovani e quelle emozioni sono le ultime a sparire. Anche se stanno riposte in angoli bui e poco frequentati sono loro che ci hanno formati, insieme ai grilli le lucciole (che tra poco arrivano, qui a MO!) e le cicale, e sono loro, queste sinapsi trascurate, che ci intristiscono se non prendono mai aria (il discorso sarebbe lungo, ma vale la pena di affrontarlo, ricercando la connessione col proprio passato).


E poi: quando si è finito di magnare e bere, si fa ancora un canto di commiato e ci si rimette per strada - e al gruppo si aggiungono gli abitanti di ogni casa - meglio se a piedi, suonando una quadriglia o un valzerino - godendo dei colori del tramonto, dell'ombre dell'imbrunire. Bisogna suonare camminando, il gruppo si sfalda e ci distrae a guardare e parlare; si è tutti un po' allegri e bisogna stare attenti a dove si buttano i piedi, ci sono sassi, fossi, erbe bagnate dalla pioggia schivata, si chiacchiera e si ride con sconosciuti che ci si trova a camminare affianco e che entrano nella compagnia, a talento, con battute e lazzi. Un po'  come capitava nelle grandi manifestazioni pacifiche di qualche tempo fa, insomma, è un momento particolare.
I maggiaioli di San Godenzo non si fanno pubblicità, perché quando poi arriva troppa gente, si è visto, non è bello, il rito diventa uno spettacolino - e a chi suona non è davvero questo che importa, anzi, subentra uno stress da prestazione (anche se poi è chiaro che gli applausi piacciono a tutti). Più che uno spettacolo è un rito a misura d'uomo, dei cortili delle case: senza amplificazione, e a portata di voce (finché c'è!). Si impara a riconoscersi, anno dopo anno, e tutti sono soggetti (tornano a esserlo come per incanto).
In conclusione se vi era piaciuto Il tempo dei gitani e in generale il cinema di Kusturiza, o Fellini o certo Bertolucci, Olmi, e tutta una serie di autori letterari, per esempio il Pavese di La luna e i falò, o Pasolini, Celati e Maggiani, potete capire di cosa parlo. Non sono mondi lontani, e non sono morti, anzi. Hanno la pelle dura, e a volte rinascono (come il funerale del Cecco a Castagno d'Andrea), ci sono dappertutto nei paesi, e sono gli stessi dei carnevali, delle feste estive non ancora trasformate in sagra della porchetta. Cercateli, chiedete, li troverete.