venerdì 1 ottobre 2010

Bollettino di Montanda n.28: Le scoperte della marmellata



28 settembre
Osservo il mio vicino che sul tetto sta sistemando una lastra di pietra sul camino, per migliorarne il tiraggio. Per quanto riguarda l’aspetto, stimo ci vorranno un paio d’anni prima che la pietra tagliata a macchina acquisti la patina del tempo. Va così, per tutto ci vuole un po' di pazienza. Stamattina c’erano 12 gradi e tempo coperto, l’aria è rimasta fredda anche se ogni tanto compare uno sprazzo di sole che non fa in tempo a scaldare: fa freddo, ma lui nelle Birkenstock ha ancora i piedi nudi, resiste ancora un paio di giorni, ha detto. Anche questa è pazienza. Sento che ormai è arrivato l’autunno, quello vero. Un po’ in anticipo, forse, ma è inutile lamentarsi, conviene pensare a far spazio nella legnaia e a prepare la stufa. L’inverno, capitasse come l’anno scorso, potrebbe essere lungo. Ieri con la Nat, che ospito per qualche settimana, ho fatto marmellata di corniolo, un frutto poco conosciuto e asprigno, ma buono, assomiglia un po’ alla rosa canina e un po’ al lampone, ma molto aspro, tanto che il frutto crudo è immangiabile. Nel borghetto fantasma, quello che sta a due minuti di cammino dietro casa, c’è un albero che fa impressione tanto ne è pieno: è l’anno dei cornioli, stanno buttando frutti ovunque in maniera mai vista. Nel frattempo Beppe e Nico stanno finendo di sistemare le tegole sul tetto del retro, c’è voluto un bel po’ di tempo, non solo per le varianti e le procedure complesse richieste dalla normativa più recente, cose che farebbero ridere, se se ne avesse ancora voglia, ma anche per il clima, che non sempre li ha aiutati, e i lavori della loro vita, i bambini, la marroneta e tutto quanto può seguire. Finalmente quindi sabato parto e me ne vado al mare, sperando nel frattempo di essere riuscito a sistemare un po’ la strada, che ha bisogno di qualche rattoppo di asfalto in vista dell’imminente stagione delle piogge. Quando tornerò troverò le impalcature smantellate, il cantiere si sposterà all’interno, e quindi dovrei riuscire a iniziare a sistemare il terreno fuori casa, finalmente, a preparare la legna per l’inverno.
Per la prima volta in vita mia mi sono messo a fare marmellate, prima coi fichi neri (nel campo ne ho tre piante che, potate l’anno scorso, hanno prodotto una quantità di frutti ottimi), e poi ieri col corniolo. Mentre raccoglievo i fichi riflettevo sul raccogliere la frutta, un rituale che non compivo con una qualche metodicità da molto tempo – dagli alberi della casa di montagna della mia infanzia (scala, cesto col rampino, nonno che tiene la scala).
Ora, premetto che temo qualche passante casuale (come quel tale che si era affacciato ai commenti del blog il mese scorso) possa credere che mi sia bevuto il cervello e che mese per mese qui a Montaonda passi il mio tempo a riscoprire l’acqua calda (a prima vista l’espressione sembra piuttosto antica, to’). E certo è così, perché le cose di cui mi viene urgenza parlare sono molto semplici, elementari, direi; e non di meno fondamentali, almeno per me ora. Tra l’altro sto leggendo un libro molto interessante di Lowen, lo psicologo americano che ha gettato le basi della bioenergetica, quella branca della psicologia che si pone come obiettivo di riscoprire il corpo e rivendicare la sua importanza nella nostra vita. Anche questa, detta così, sembra l’acqua calda, ma non lo è affatto, anche se oggi le sue scoperte, che risalgono agli anni ‘40-’50, ci paiono ovvie e acquisite (spero).
Ebbene raccogliere la frutta, e in particolare quella selvatica, come il corniolo, e quindi le more, la rosa canina e quant’altro di più o meno spinoso abbonda in questa landa selvaggia di Toscana, è un gesto e un rituale antichissimo – lo abbiamo studiato il cosidetto livello evolutivo (ahah! vien da ridere pensando dove siamo finiti) della “civiltà di raccolta” – prima che l’uomo inventasse l’agricoltura. Ma noi lo pratichiamo con ben altro spirito, andando per funghi, o per mirtilli, più in una prospettiva di saccheggio vacanziero, di escursione fuorisede, e non invece in quella della raccolta del frutto spontaneamente offerto e proteso dagli alberi e cespugli, alimento e nutrimento spontaneamente donato dalla terra e dai sui abitanti vegetali (pensiamo pure alla misteriosa enigmaticità culturale del fungo, questo ente che assolutamente fa impallidire gli ignoranti come me, quando pensano alla sua classificazione nella famiglia dei viventi – dubito persino che sia un vegetale!), della raccolta del frutto dell’estate, ovvero dell’anno, succoso o secco, trasfomabile in farina o marmellata, scorta e alimento per superare la lunga sterilità dell’inverno. Gli scaffali dei supermercati ci fanno dimentichi del ciclo alimentare naturale, ed ecco che appunto la raccolta si trasforma in divertimento con sfumature di stupro (altro che Pan), e la massima prerogativa è quella di non pagare (non a caso le istituzioni di controllo hanno escogitato tesserini e tasse) ciò che si porta a casa. Il dio gratis.
Eppure, in alcune sacche di irredimibilità, di memoria etnogenetica, ecco che a primavera troviamo sguinzagliati per la campagna i cacciatori di cicoria, i cacciatori di chiocciole, di erbe e frutti e di tutto quello che si può ancora considerare selvatico.
E allora?
La raccolta a scopo di alimentazione esiste ancora. Ho provato a immaginarmi vestito di pelli e grufolante, mentre raccoglievo le corniole? No, sinceramente no, però pensando a questo ho colto il frutto provando una chiara gratitudine verso l’albero, che me l’offre senza chiedere nulla in cambio, quindi il frutto come dono, polpa di vita, senza uccidere cuori palpitanti né stroncare vite e organismi. Il frutto, a mio vedere, è uno dei più alti prodotti, rappresenta la più alta risposta naturale al dilemma dell’alimentazione, e così il seme, che non è ancora un organismo, ma solo la potenza di esso. Per mangiare un corbezzolo o una bacca di sambuco, una noce, non uccidiamo quel che non è ancora nato, è un seme tra le migliaia che la pianta generosamente sparge, per riprodursi, certo, ma anche per nutrire noi, creature della terra che andiamo a raccoglierle, con le mani, le fauci, di giorno o di notte, con zoccoli, scarponi o piume, zampe leggere o pesanti. In questi giorni nel bosco stanno cominciando a cadere i marroni, cominciano i sabba degli animali notturni, mi raccontava ieri Beppe, che al mattino si trovano soltanto distese di bucce vuote… e oggi, che intanto è diventato il primo di ottobre, si apre la caccia al cinghiale.