venerdì 29 maggio 2009

Bollettino n. 19: Numero speciale - Pale nere, o la misura delle cose



29 maggio 2009
Paolo e io ci siamo dati appuntamento per la mattina di sabato 23 al parcheggio di San Godenzo, alle 7.45. Partiamo con la mia macchina, si va a gas, e attraversiamo il Mugello deserto, prendiamo l’autostrada fino a Pian del Voglio e poi, dentro e fuori per i dossi dell’Appennino, arriviamo a San Benedetto con ben 10 minuti di anticipo. Elisa, la compagna di Paolo, è dovuta rimanere all’eremo per guardare le bestie, io ho abbandonato mia sorella e il suo compagno e due cari amici milanesi per la prima volta in visita alla mia casetta toscana. Il dovere è dovere. Il convegno di critica all’eolico non capita tutti i giorni, e l’ha organizzato un comitato fratello del nostro, siamo molto curiosi e desiderosi di scambiare conoscenze ed esperienze. Loro sembrano ben organizzati, hanno a disposizione una sala ben attrezzata e hanno chiamato specialisti di livello – hanno un bel sito internet, www.comitatomontedeicucchi.com, un bel manifesto, e hanno raccolto più di 500 firme (!). Noi dell’Ariacheta siamo prevalentemente profughi metropolitani, qualche neo-contadino più o meno studiato, qualche decina in tutto, e abbiamo contro gran parte della popolazione locale. Qui, mi hanno detto a spiegazione del diverso consenso, ci sono molte seconde case.
Si ha appena il tempo di fare conoscenza con gli organizzatori e i relatori che il convegno comincia, con il saluto di Angelo Farneti presidente del comitato ospitante. Scarno, chiaro, preciso.
Segue l’intervento dell’avvocato Bernardini, un giovane leghista che rivendica la vicinanza del suo movimento alle questioni territoriali (poi messa in dubbio), alla tutela del paesaggio, e che porta il saluto dell’On. Angelo Alessandri, presidente della “Commissione per Ambiente, Territorio e Lavori Pubblici della Camera dei Deputati” (troppe maiuscole, ma voglio essere preciso; e poi devo ancora trovare il modo di verificare cosa questo onorevole signore ha fatto concretamente contro le pale... non mi fido dei leghisti). Devo dire che questo Bernardini, che avrà una trentina d’anni, mi pare molto bravo e pieno di energie, accipicchia sti leghisti come sono andati avanti, ma bravo soprattutto a fare una concione elettorale, a sottolineare la legittimità della presenza del suo partito. Fa il suo discorso, poi piglia e se ne va. Impegni elettorali, certo.
Tocca quindi a Paolo Mattioli, relatore di Italia Nostra. È il mio amico (credo di poterlo dire, anche se ci conosciamo solo dal giorno in cui è nato il comitato: uno dei maggiori risultati di tutta questa vicenda è avere trovato e scoperto e continuato a scoprire persone in gamba). Paolo (affiliato a Italia Nostra da poco, come me, per ovvie ragioni) ha preparato una serie di diapositive per parlare del paesaggio, del senso di questa parola. Ha riflettuto su un bello scritto di Carlo Alberto Pinelli, e poi, visto che è agronomo, che ha lavorato sul paesaggio agricolo, pubblicando pure qualche anno fa uno studio davvero bello, è realmente un esperto in materia. Ha sviluppato un ragionamento sul paesaggio reale e quello immaginario, sul suo valore (visto che si tratta di questo oggi) reale e quello percepito, da cui poi derivano il significato culturale, politico e comunicativo, e infine quello normativo (nomina la Convenzione di Firenze). Paolo ricorda quindi il progetto APE, finora taciuto da tutte le parti, e la convenzione sottoscritta dalle regioni: ebbene, ora 1/3 del sentiero GEA sarebbe coperto dalle pale. Perché, si chiede, il Ministero spende parecchio, cioè finanzia per valorizzare, e poi decide di banalizzare e svendere a un’industria privata lo stesso identico paesaggio? Azzardo, ricavandola dai miei appunti, una risposta che suona agghiacciante: perché i politici non sanno, e non sanno oltre che per proprio disinteresse (perché sanno bene quali sono le cose interessanti per loro!) anche perché non c’è coordinazione e informazione. Si fa tutto così, no, in balia dell’oppurtunità del momento.
Dopo Paolo prende la parola l’architetto Andrea Bassi, che è rimasto toccato dalla nostra causa dopo un sopralluogo fatto per commissione e controvoglia. È giovane, anche lui, siamo tutti tra i 30 e i 50, non sarà un caso mi dico (giovani nel senso che non vedo nessuno dei padri che altrimenti abbondano tanto nella vita pubblica, politica e intellettuale del nostro paese, ma sarà un caso, i padri avranno certo cose più importanti da fare). L’architetto ha visto, ha fatto due conti e si è incistato. Con un paio di dia mostra perché le simulazioni che sempre accompagnano i progetti sono fasulle e non rendono l’idea. Perché per leggere un paesaggio bisogna entrarci dentro e non stare sulla soglia a valutarlo. Mi regala un concetto di cui mi innamoro e che ho deciso userò spessissimo: il “fuoriscala”. Le pale sono fuoriscala nel senso che se proviamo a metterle in scala con i manufatti o gli elementi del paesaggio a misura umana ecco che le pale non ci stanno, non entrano nella fotografia. Sono al di là della nostra capacità comparativa. Come dire una manciata di ciliegie e un tir pieno, quante ce ne stanno? (Che erano 10 000 i fichi sull’albero, non seppe indovinare l’antico sapiente) Così avviene che le pale spariscono perché sono troppo grosse. Così grosse che fanno saltare ogni paramentro valutativo, in tutti i sensi. Non sappiamo valutare la loro dimensione reale – butto lì un’osservazione: quasi nessuna delle persone che conosco, tolto qualche raro oppositore, è mai andata a toccarle le pale, le si vede da lontano, dall’autostrada, dall’aereo.
Insomma, tornando a Bassi, una bella relazione, anche sugli sbancamenti, chiara e semplice, e mi congratulo, gli chiedo di poter usare le sue immagini per le nostre presentazioni. Naturalmente, tutto a disposizione. Ore di lavoro, se non giornate, regalate, va da sé – noi siamo così, il tempo per noi non conta... tutto in questo mondo dei comitati vive, come dire, su un’altra scala…
Tocca poi a Michele Vignodelli, del WWF di Bologna. Ha portato un documento sui pipistrelli, i celebri chirotteri. Bastano due parole, “sterminio diretto” e colgo immediatamente la dimensione nazista (è la mia sensibilità di specialista) di questi impianti. Man mano che parla la misura del disastro si allarga, come una macchia d’inchiostro. Dice che bisogna fare qualcosa, ci sono gli allarmi e le risoluzioni europee, produrre un documento nostro condiviso dalle più varie associazioni perché la situazione per il suo impatto per l’ambiente, e non soltanto su questo genere di volatili, che dalle pale vengono attratti come le falene dalla lucerna, bastano pochi dati, è drammatica. Ma perché diavolo mai – scusate l’interrogativo che non è per nulla retorico – l’uomo si trova sempre a insistere su progetti e tecnologie che portano allo sterminio? Sbagliando si impara? E prevedere? Dove andremo a finire, quindi? Tanto non c’è un fondo, finché ci siamo noi, no?...
Lo stesso discorso viene sviluppato e approfondito dall’intervento di Roberto Tinarelli, dell’ASOER, ornitologo emiliano e tecnico che studia gli impatti ambientali delle pale sull’avifauna. Non c’è alcuno scampo (qui, al convegno, mentre fuori non c’è proprio nulla, solo l’aria fresca e limpida, trasparente, della mattina di maggio): già al convegno di Comacchio del 2005 erano parsi evidenti i risultati, corroborati dagli ultimi anni di ricerca e monitoraggio (e spiega come sia difficile raccogliere i dati, non solo perché questo tipo di studio non viene finanziato, si sa i costi... ma anche per motivi pratici, perché gli uccelli abbattuti vengono portati via dai predatori del territorio, quando non sono le stesse società degli impianti a pagare uomini per eliminare le carcasse – è successo in Spagna, chissà se magari anche da noi…). Ecco qua, riferito a senso: “se costruiscono anche solo buona parte e non tutti gli impianti progettati sul crinale appenninico è assolutamente certa l’estinzione di tutti i rapaci dell’Appennino italiano nel giro di pochi anni”. Questo è il dato che bisogna presentare, il lancio per le agenzie, la misura di tutte le cose. Ovvero: ci si ripropone di alterare in maniera irreversibile l’equilibrio naturale anche nelle zone di riserva. Il problema, per me che della comunicazione mi sono assunto il compito, è che è un dato inaccettabile, fuori proporzione, il fuori scala non si vede più - per cui nessuno ci crede. Perché lo sappiamo tutti, se togliamo aquile, gheppi, poiane, falchi, li togliamo e poi non ce ne sono più. Fine del discorso. Come è successo per le foche. Chi parla più delle foche nel Mediterraneo? Non ci sono, fine del discorso. Un discorso non può presentasi come finito. Muore anche lui e quindi scompare. Non è roba umana. Sta nelle biblioteche, nelle lapidi dei cimiteri. Come potrebbero gridarlo i giornali, le televisioni? Il fuoriscala è la negazione della rappresentazione - indicibile.
Come la storia dei 500 000 anni di decadimento radioattivo del necronio – il mondo, l’umanità è già finita - solo che dobbiamo dimenticarlo, per vivere. In questi termini sopravvivere diventa vivere. Quindi: accettazione, silenzio.
Pausa pranzo, si va in una trattoria del posto (noi ospiti, grazie ai San Benedettini!). Mi trovo di fianco Antonella Marchini, che è un po’ la coordinatrice del comitato, quella che firma i comunicati, come faccio io per l’Ariacheta, e di fronte Simonetta e Franco. Ci raccontiamo le nostre storie, come si è scoperto il progetto tenuto ben nascosto agli interessati (che birichini, quelli del comune, eh? Involontari, sia chiaro!), come si è capito di cosa si trattava, e quindi l’allarme si è sparso tra le case. È questo, ancora una volta: nei comitati si trovano persone decise, “volontari”, determinate e sicure della propria scelta, disposte ad essere derise e accusate di disfattismo, che hanno davanti a sé un obiettivo concreto contro cui lottare, questi maledetti mulini a vento giganti. Gente di sinistra, in genere, ma decisa a muovere le cose. Disposta a votare a destra al comune, anche se non l’ha mai fatto.

Nel pomeriggio parla l’avvocato Federico Gualandi, docente a Venezia, che sta cercando di lottare contro muri di gomma. Il suo intervento è interessante e preciso, ma purtroppo rientra in quel tipo di cose che mi sono note, che sono note a tutti. Queste società riescono a imporre la propria forza esiziale agli assessorati, agli uffici che dovrebbero valutare i progetti dal punto di vista della tutela della salute e del benessere. La legge. Le società appellandosi alla “pubblica utilità” (presunta ma mai dimostrata, è questo il giochetto che si dovrebbe smontare!) riescono in tutta leggerezza ad aggirare normative regionali, nazionali ed europee. Mah. Una commissione di scienziati che smentisca la pubblica utilità di questi impianti devastanti, ecco un compito per l’On. Alessandri, chi glielo gira?
Angelo Farneti cede quindi la parola ai politici. Il Comitato ospite, dice, ha fatto deliberatamente questa scelta, visto il clima elettorale, di invitare i candidati sindaco a prendere posizione. La sinistra, e la destra. Sul manifesto c’è scritto che avranno 15 minuti a testa. Il sindaco uscente, sostiene che le pale si faranno se e solo se non contravvengono alla normativa di tutela (proprio come il nostro di San Godenzo, evviva la sinistra! - ma nel caso degli uccelli non esiste ancora alcuna normativa di tutela! Purtroppo sul momento nessuno glielo ricorda, ci sono talmente tante cose da tenere a mente!). La sua avversaria dice noi non le faremo. Le crediamo? Mah - a San Godenzo le cose stanno peggio, tutti e due i partiti sono favorevoli, anche se le ragioni del no – vicinanza parco, area sic, ecc.ecc. – sarebbero più forti. Di fatto i politici parlano a lungo, troppo (il primo 35’ - poi perdo la voglia di cronometrare), è questo il mio rimprovero personale agli organizzatori, tra consiglieri provinciali belli grassi e/o impomatati, se ne vanno quasi due ore. Uccidono in comvegno. Dicono che della lotta contro le pale gliene frega, ma io non ci credo molto. Loro stanno dalla parte della politica, i giochi sono fatti, e alla politica le pale fanno comodo. Certificati verdi, quote di Tokyo, si sa, insomma. Anche altri soldi, probabilmente, non dimentichiamo. Poi prende la parola l’assessore regionale – come si chiama, Bursi? -, che chiaramente è qui per dare una mano al sindaco uscente, ed è la persona a cui si dovrà, in breve, se il progetto passerà o no. Lui dice: io mi do da fare per costruire nel rispetto della normativa. Tutto quello che si può costruire lo costruisco. Lui non ha dubbi, non può averne, lui è la legge. L’avvocato Gualandi lo interrompe si appella alla coscienza, alla sproporzione (un altro fuoriscala?) del contezioso, che vede da un lato società immense e dall’altro piccoli comitati – Bursi sorride comprensivo: lui non è tenuto ad usare la coscienza, deve applicare la legge. Ha ragione, è un burocrate. È la banalità del male dico io, sempre dal mio punto di vista di specialista del nazismo. Lui non deve chiedersi, solo eseguire, così funziona la giustizia, giusto?
E qui irrompe il Romanelli. Romanelli è la forza della natura! Giovane, magro, muscoloso, una t-shirt bianca e lisa, compare sul fondo, sta in piedi a lato e a gambe larghe, il petto verso il pubblico, prende la parola come una furia e vomita ingiurie sull’assessore, sei tu il responsabile della mia rovina, dice, tutto rosso, il braccio teso a pugno le vene sporgenti, sei tu che mi hai fatto costruire la pala dietro casa, io non dormo più la notte, gli animali stanno male, le galline non fanno uova, la mia vita è un inferno! Tutti, o almeno tanti, finalmente ci lasciamo andare a un applauso, ci esce spontaneo, eccola la voce della verità, il danneggiato, ecco chi con le pale ci si deve confrontare davvero, la fine delle menzogne, hai voglia a leggere articoli e studi, la rabbia non si può scrivere, Romanelli a passi lunghissimi si avventa sul palco e prende il microfono, non salta addosso all’assessore come molti di noi temono, si limita a gridare la sua rabbia davanti a tutti, è una persona sicuramente in gamba, e nemmeno poi così giovane, sembra soltanto, e spiega la sua rovina disperato - mi hanno spiegato che prima non era così, che ha un’azienda biologica – vent’anni di lavoro, grida, a farmi un culo così - già vedo in lui i miei amici di San Godenzo, come diventeranno dopo un anno di pale – e le pale gliel’anno massacrata la sua vita, a lui, che dovrebbe essere un cavaliere del lavoro e dell'agricoltura (lo dico io e lo dice l'americano Michael Pollan) che ha recuperato una campagna umana, naturale, già devastata e poi abbandonata. E nessuno invece, altro che medaglie, nemmeno gli si riconosce il danno, aggiungo sempre io, non sono previste indennità, aiuti, sostegni per cercare un sito alternativo dove trasferirsi, nulla: Romanelli è abbandonato a se stesso, a una nevrosi che aumenta giorno per giorno. Nessuno ancora parla ufficialmente della sindrome da pala eolica, disturbo ormai conosciuto, diffuso, che si comincia ora a studiare seriamente e che colpisce gli sventurati che si trovano nel raggio di disturbo delle pale! Altro che sindrome di Nimby, qui si parla di casi clinici, di gente che non dorme la notte e a cui si spezzano i nervi, che scoppia a piangere per un nonnulla, la sindrome di Nimby se la sono inventata i comunicatori, i furbi, per screditare chi vuol soltanto far valere il proprio diritto a vivere una vita decente a casa propria! Io m'incazzo ma invece Romanelli pian piano si calma, si è sfogato, svuotato, fa ancora due chiacchiere sconsolato, fuori dalla sala, risale in moto, se ne va, qui non ci resiste.
Riprende la parola l’assessore, una volpe della politica, non ha fiatato per tutto il tempo e ora paziente riannoda i fili. Io lo so che probabilmente quell'uomo dentro si sta massacrado, è persona capace e intelligente, so che crede di dover fare quel che fa per una causa di giustizia e legalità. Voglio crederlo. Ma sbaglia comunque, perché una società che permette che un solo individuo venga ridotto come ho visto il povero Romanelli non è una società civile, è una società omicida. E allora? Facciamo la rivoluzione, andiamo a espropriare i negozi del centro, andiamo a vivere la peste che c’è dentro e fuori di noi?!? Perché dovremmo lasciarlo fare soltanto a chi indossa occhiali neri e blackberry? Perché l’ombrello di Altan se lo pigliano sempre i soliti? Allora diciamolo, evviva l’anarchia, buttiamoci all’assalto con la scimitarra guainata, sangue nel sangue, evviva il santo culto di Mitra!
A tavola ho bevuto un po’ di vino, e ora sonnecchio, preso da visioni apocalittiche, i politici e i ravioli mi hanno ammazzato. Intanto pian piano il convegno si spegne, si affrontano piccoli argomenti tecnici, interessanti, ma che insomma... ancora tentiamo di gettare le basi per un coordinamento, ma non abbiamo più forza, bisognerà trovare un’altra occasione. Saluti, si parte. Ma prima Simonetta e Antonella ci accompagnano a vedere i luoghi dove sorgeranno le pale. Il Monte dei cucchi è bello come un parco, con la serenità pomeridiana, le rondini (!) e l’equilibrio tra cielo, pascolo e incolto che solo l’alto Appennino riesce a dare. La casa degli avi di Simonetta ha un’aia di pietra naturale che è uno spettacolo. Un monumento del paesaggio, di integrazione di elemento naturale ed elemento umano, pietra contro osso duro. Qui si dovrebbe venire, toccare il cielo, guardare il silenzio. Eh, ma che senso ha? Appunto… fermare anche il senso per trovare il senso…

Da tutte le parti si dice che il convegno è stato di alto livello, che ci ha arricchito molto, ne sono convinto anch’io, e sottolineerei che è stato organizzato da un comitato di, perdonatemi, banalissimi cittadini: che io sappia è il primo convegno sull’impatto dell’eolico industriale sul paesaggio e sulla popolazione dell’Appennino che ci sia stato (tolto il recente convegno internazionale di Palermo, ovviamente! Ma, Onorevole Alessandri, Lei c’era, almeno, a Palermo? E perché non l’organizza Lei un convegno del genere con l’alto patronato ecc.ecc.? O il Ministro! No: tocca alle vittime, ai piccoli cittadini, e a proprie spese – questa la proporzione delle cose!).
Ed è un vero peccato che la parte migliore, quella dei relatori della mattina, abbia avuto un pubblico scarso (si era tra noi), mentre al pomeriggio, i politici, che non hanno aggiunto alcun valore positivo ma solo fornito riscontri su come la politica non sia in grado di dare risposte – anche l’intervento del candidato dei verdi, mi dispiace dirlo - pratiche e concrete, abbiano trovato un uditorio più numeroso. E prosciugato, risucchiato le nostre energie, come vampiri.
Insomma, io avrei voluto fare un discorso sulla comunicazione, su come è difficile trovare accesso ai media, volevo farmi bello e citare Blow-up di Antonioni (la fatica di mostrare quel che non c’è!), e come la gente infili le dita nelle orecchie quando si parla di pale, come si debba continuamente ripartire dall’ingenua domanda che ci piove addosso da tutte le parti: “ma non erano un’energia pulita, alternativa le pale? Allora volete le centrali nucleari?”. Le pale sono un mito di salvezza (soteriologico, come la croce), quello delle energie alternative, forse l’unico a disposizione sul momento, faticosamente costruito negli ultimi trent’anni dalla comunicazione pubblica e dall’educazione culturale - mentre si continuava a scialaquare il petrolio. Una bolla d’aria, senza sostanza, ma anche una delle poche speranze che il cittadino oggi può avere – e noi no, gli si va a togliere anche questi funghi bianchi, uniche magre promesse di libertà e giustizia. La gente vuole credere che le pale siano belle e buone, lo fa con tutte le proprie forze, oltre ogni possibile ragione. Ho un bel dire "Basta un'ora di attenzione per convincersi", verificare i dati dei parametri fondamentali. Non lo si fa, punto. Bisogna sbatterci il naso, contro il palo. Ci vorrebbe una campagna pubblicitaria miliardaria, mi dico, quando ero milanese ho lavorato nel settore, un biscotto “mulino nero”, per chi capisce, che con la sua pala uccide il gattino affettandolo a metà, che fa diventare neri e tristi i bimbi e le famiglie, che fa rumori orribili e strida agghiaccianti, coprendo la luce del sole. Ecco, mi date alcuni milioncini di euro, chiamo Tim Burton, magari mentre si lavora strapagati ci si diverte pure. E invece, per fortuna, sono fuori dal meccanismo, e mi ritorna vivo davanti agli occhi il furore di Romanelli, fortissimo, l’unico brechtiano eroe di tutta questa vicenda, martire e testimone, sissignori: carne e sangue, come diceva Woyzeck! L’ho invitato alla nostra passeggiata, spero proprio che venga, è lui che sa – con la sua incazzatura che non si può incatenare – dire e mostrare cosa ci aspetta, è lui che ha la forza della ribellione, coltivata in vent’anni di zappa, di scure e sudore di cavallo. Lui lotta per la vita, ecco dove dobbiamo tornare, imparare, ognuno il suo, pure io il mio, certo, come no.
Tornando indietro Andrea (altro nuovo amico!) ci propone di passare da Casoni di Romagna, a vedere le pale di un impianto appena terminato, sono un po’ piccoline, alte solo 70 metri (le nostre 105!). Arriviamo appena dopo il tramonto. Sono una decina. La piazzola di servizio di una pala è grossa come il parcheggio di un supermercato. La pala è lì, nelle luci dell’imbrunire, una serata splendida, colori magrittiani. Grigio chiaro, metallica, una via di mezzo tra un aereo-razzo, un frigorifero e un ventilatore. Le pale girano. Piano, mi dice Andrea. Sento un rumore diffuso, non altissimo, pensavo peggio. Ma io, si sa, sono parecchio sordo, non faccio testo. Affascinare affascina. È l’effetto del fuoriscala. Sono colossali. Ci sarebbe da esserne orgogliosi, cribbio. Cazzacci. Come mi avvicino per toccarla – lo scimmione che è in me – si accende una luce, ci sarà anche una telecamera. Antipatica. Liscia, gigantesca, davvero immensa. Facciamo le nostre foto, inutili, perché fuoriscala. Prima di andar via non resisto. Giro sul retro, nell’ombra e ci piscio contro - sarà il contagio di Romanelli. Mi arresterà, la psicopolizia? Si riparte verso casa, è notte. Ancora per una pizza, alle 11, a Vicchio. Arrivo alle 12.15, c’è ancora Mauro alzato, gli altri a letto, cotti dalla bella giornata passata in mezzo alla natura.




E ora ragionando, a una settimana di distanza mi dico: perché le pale non le si mette nei centri cittadini? Che bei fouriscala, sotto gli occhi di tutti! Davanti ai centri commerciali (così possono continuare a sprecare elettricità!). Ci sono tante aree dove potrebbero starci come gendarmi, a tutela del progresso. Nelle periferie, negli svincoli autostradali, negli scali ferroviari e nei depositi container, quante aree degradate già ci sono?! Invece no, vanno a scegliere i parchi, i crinali, le zone integre. Per non rompere le palle alla gente. Aha, allora le rompono le palle, lo vedi?... Perché c’è più vento? Ma va, se non basta nemmeno lì, ormai lo sappiamo tutti!
No, io credo sia qualcosa di ancora più profondo, un desiderio inconfessabile di spingere oltre il massacro in atto, di piantare pali di umanizzazione (ahahah!) più alti dei tralicci, di sferrare un altro, mai definitivo a quanto pare, attacco, al mondo non umano, alla wilderness, il mondo degli dei, quello dove il fuoriscala non era una prerogativa umana ma appunto, della natura indistinta, inclassificata e continua, viva, dove il dio era nel sasso, nel filo d’erba, nelle ninfe dell’acqua e nell’aquila, nella tempesta, nel fulmine e nel terremoto – sostituire il tridente di Poseidon, ecco il sogno di Prometeo che si avvera. Ricercare la sintonia coi miti antichi, quelli veri, non barthesiani, mi dico: se l’aquila di Zeus è la giustizia, e gli divora il fegato, forse allora c'è davvero una ragione. Prometeo lo stronzo, altro che Gesù Cristo. Distruggere il sacro e sostituirlo con il feticcio, il vitello d’oro (finto). Ma i cattolici! I cattolici, che cazzo fanno? Possibile che non prendano posizione contro il traliccio? Loro non sono materialisti, non credono nell'elettrone! Ancora una volta eccoci in ginocchio davanti al solito dilemma, il cattolicesimo sente la natura come un possesso inanimato da piegare e violentare o, se si deve guardare, opta per l’autoimmolazione masochista… Non fatemi dire altro… che triste e misero giudizio.



(per il logo: grazie a Mauro Galbiati)