martedì 30 dicembre 2008

Montaonda vive

Da oggi il "bollettino di Montaonda", sorta di newsletter per tenere informati i miei amici di quello che faccio senza impazzire a ripetere le stesse cose, si trasforma e diventa Blog.  Perché ormai, dopo un anno e mezzo (i numeri li troverete presto in archivio qui sotto, con le date originali taroccate), mi sono stufato di mandare messaggi e allegati, a chi sì e a chi no, e poi con le foto e senza, eccetera, vista anche la velocità pessima della pennetta che uso per connettermi... In questo modo credo che vi potrete iscrivere da soli, e verrete automaticamente avvisati ogni volta che ci sarà qualcosa di nuovo. Penso che all'inizio manterrò la cadenza di una volta al mese, poi si vedrà. Idem con il multimediale: si comincia con piccole e poche foto, e poi si vedrà - audio, filmati, boh.
intanto facciamo un po' di pratica...
l. 

lunedì 29 dicembre 2008

Bollettino 14 - Ultimo numero speciale da Tirana

Sì, è la mia ultima visita a Tirana, per aiutare Chiara a chiudere casa, torniamo insieme il 24 e poi basta, con l’Albania si chiude. Fa uno strano effetto pensare di lasciare per sempre questa casa ampia e dagli spazi accoglienti, questa città confusa e di cui non si viene a capo. Ieri siamo andati a bere un tè (ciai mali, il tè albanese fatto con un’erba che dev’essere una varietà di salvia) e mangiare una fetta di torta (buona, degna di una pasticceria nostra) con alcuni amici. Carlo, 28enne toscano di Reggello (a poca distanza da MO) che è qui per l’ONU, a me che chiedevo diceva che nei prossimi 4-5 anni l’Albania si gioca l’accesso o meno all’Europa, ovvero al "mondo civile". Se entra decolla, se non entra l’aspetta un periodo oscuro. Ma perché questo avvenga restano da sciogliere alcuni nodi fondamentali, la corruzione degli organismi pubblici, la questione della proprietà delle terre (al momento non c’è ancora un catasto!), e altri che ora non ricordo. Il problema grosso, prosegue, è che l’economia è pompata dalle rimesse, che arrivano al 30% del PIL, e che in pratica qui si importa tutto, ma proprio tutto tutto, dai rubinetti alla verdura, e non si produce nulla. Nemmeno in agricoltura sono riusciti a creare consorzi o cooperative. Chiaramente: visto che escono dalla dittatura comunista di collettivizzazione non ne vogliono sapere, e si coltivano ciascuno il suo orticello, di pochi acri, così ben difficilmente riusciranno a produrre qualcosa in grado di essere venduto, tanto più in Europa, che ha standard di importazione che richiedono pianificazioni e investimenti. L’olio fa schifo, anche se sono pieni di ulivi…

Tirana cresce: ma guardate, quante di queste case hanno le finestre?

L’altra sera siamo rimasti a casa casa a guardare un film – su dvd, perché di cinema non se ne parla nemmeno. Tanto i film costano 500 lek, circa 4 euro, ma sono tutte copie piratate. Anche nel video shop del centro commerciale CasaItalia di cui si vedono grandi pubblicità ovunque, su autobus e tabelloni (non ve ne descrivo la tristezza e lo squallore), tutti i dvd in vendita sono taroccati. Ho controllato, non ce n’è uno originale. Fotocopie a colori, etichette applicate sul dvd che contiene il film e basta (nemmeno i menù si aprono). In pratica il mercato degli originali non esiste in tutto il paese.
Oggi piove, e sono andato nella stanza dove avevo steso il bucato ad asciugare. Nel mezzo, sul parquet nuovo e lustro (l’edificio è stato terminato un anno e mezzo fa) ho trovato una pozzetta, che non veniva dal bucato. Ho guardato in alto e la lampadina, che è appesa a due fili che escono dal soffitto, grondava goccioline. Sopra stanno costruendo altri due piani (uno credo abusivo). Un’infiltrazione. Non l’accenderemo più, finché non torna l’asciutto. Anche in bagno, sotto il box doccia - ipermoderno e con doccette laterali, davvero piacevole da usare - escono due pisciatine che si allargano verso la griglietta dello scolo centrale. L’asse del cesso, ovviamente nuovo pure lui, non si riesce a fissare. Il palazzo è ancora non terminato, ma ha misure e finiture di lusso: l’appartamento (sono 140 mq, senza contare le terrazze, per 650 € al mese, su cui il padrone paga il 10% di tasse – Chiara ha insistito perché deve detrarlo dal reddito, e quel 10% lo pagano metà per uno – altrimenti qui si fa tutto in nero) è circondato su tre lati da una terrazza con uno splendido panorama sulla città. Peccato che il muretto della terrazza mi arrivi appena al cavallo – e non sono un gigante; dove ci sono le sbarre di ferro, queste sono altri 10 cm più basse, e sicuramente tra il pavimento e quella inferiore ci si infila ben più di un bambino. Siamo al 7° piano e soffro di vertigini: non mi ci è voluto molto a capire che un simile terrazzo non sarà mai a norma. I balconi, raccontavano gli amici italiani di Chiara, spesso scolano l’acqua verso l’interno, inondando le stanze dalle porte. Una ragazza presente (eravamo in 5) ha detto che una notte ha dovuto evacuare una stanza (naturalmente edificio nuovo), le si è allagato mezzo appartamento. Se vengono costruiti così i palazzi quanto dureranno? La cucina ha una modernissima cappa d’aspirazione Zanussi, ma quando gli inquilini dei piani di sotto cucinano ci manda i loro odori, dai peperoni grigliati al fritto di pesce, credo perché il tubo di fuoriuscita non è orientato verso l’alto ma solo orizzontale. La stanza da letto ha l’interruttore della luce che resta coperto dalla porta aperta (possibile che l’abbiano montata coi cardini dalla parte sbagliata?). Sono solo piccoli esempi, potrei farne altri mille.
Per le strade bisogna guardare sempre dove si mettono i piedi, marciapiedi e bordi strada sono pieni di buchi profondi anche un metro. Tombini scoperchiati (il ferro vale un sacco, pare che in tutti i balcani vadano a rivenderseli). La raccolta differenziata avviene in maniera particolare: se ne incaricano i giovani rom, maschi dai 10 ai 30 anni, che girano per la città con i tricicli a pedali e selezionano dai cassonetti quello che si può recuperare. Da questo punto di vista la situazione è abbastanza deprimente, diceva un altro Carlo, ingegnere di una ONG che si occupa della sicurezza di una grande discarica alle porte della città (e ha sorriso chiedendomi se avevo visto i quartieri periferici – cosa che non ho fatto, perché Chiara abita in centro).



…In serata ieri siamo passati poi dallo Sheraton per incontrare alcuni colleghi di Chiara e portarli a cena al giapponese dove siamo stati con Carlo. Poco prima lei ha insistito perché entrassi a vedere una discoteca in stile superkitsch, dove era in corso una festa, piena di ragazze con gonnelline corte e abitini leggeri, ragazzi ben rasati dai capelli corti, credo che fosse proprio il posto dove va la gioventù danarosa. Fuori mercedes ultimo modello, cheyenne e simili, ragazzi foruncolosi attaccati a sigarette e cellulari. Dentro luci e fumi, musica techno, o quello che è diventata, e tanto sudore nell’aria. Siamo arrivati fino alla pista da ballo, come palombari, con i cappotti, loro erano tutti in abitini leggeri, cortissimi per le ragazze, tutta gente che si muoveva a onde e in maniera piuttosto disordinata. Possibile che non abbiano ancora imparato a ballare?
…Oggi a mezzogiorno, vista la bella giornata di sole, ho preso la nikon e sono andato a fare un po’ di foto. Risalendo la via di Elbasan, dopo un po’ che camminavo e scattavo ho incontrato un rom che aveva incendiato un cassonetto per scaldarsi, e gli ho fatto una foto dove si vede lui accucciato, di fianco alle fiamme e al cassonetto. Poi ho proseguito ancora un centinaio di metri, ma c’era troppo inquinamento e non vedevo nulla di interessante lì vicino, così sono ritornato sui miei passi. Di fianco al rom ora c’era ora una Chevrolet bianca con le luci della polizia. La foto la vedete qua sotto, perché scatto tanto, anche l’inutile, e poi butto via. Dalla Chevy sono scesi due tipi in bomber blu, non particolarmente cattivi, ma che, ad ogni buon conto hanno allontanato il rom. Be’, mi è sembrata un’azione ordinaria di polizia, e non mi è dispiaciuta. Il fumo bianco che si levava dal cassonetto era mefitico – potete immaginare, dentro c’era di tutto. Insomma, un intervento per il bene comune. Mi aspettavo quasi che prendessero dall’auto un estintore, o che chiedessero ai ragazzi del lavaggio, una decina di metri più a sinistra (cfr. foto), di spruzzare acqua (loro ne hanno sempre tanta!) sul cassonetto per spegnerlo. Invece lo lasciano bruciare, e quando gli passo davanti mi fanno cenno di avvicinarmi, e dicono che sono dell’ambasciata americana - hanno un bel cartellino giallo in vista – vogliono sapere perché facevo le foto e vedere le foto che ho fatto. Erano albanesi, ma parlavano un inglese decente. Io ho detto che sono un giornalista italiano, che sono a Tirana in vacanza e pensavo di fare un reportage sulla città (non ho detto che era per i miei amici). Gli ho fatto vedere le foto – il display della nikon è una bomba – e in pratica mi hanno fatto cancellare soltanto la foto dove si vedeva il rom di fianco al cassonetto incendiato, dicendo che dovevo cancellarla perché quella era una via in cui c’era un oggetto che non avevano piacere fosse fotografato. Tutto con buone maniere, io ho detto ok, e ho cancellato la foto davanti ai loro occhi. Poi mi hanno chiesto i documenti, gli ho dato il tesserino stampa (ce l’ho ancora, anche se ormai esercito soltanto per vizio privato) e anche la carta d’identità. Mi hanno chiesto se era la prima volta che ero in Albania, e dove alloggiavo. Io ho detto che ero qui per la terza volta, e che alloggio da un’amica. Mi hanno chiesto chi era quest’amica. Ho tirato fuori il biglietto da visita di Chiara, con scritto bello in grande Repubblica Italiana Ministero dell’Ambiente. Mi hanno chiesto se ero worried per quelle loro domande io gli ho detto not at all, sono perfettamente tranquillo, sono un giornalista e so cosa state facendo. Mi hanno chiesto se ho un cellulare e io gli ho detto che è italiano e qui non lo uso e non gli ho dato il numero. Insomma stavano esagerando. Hanno abbozzato, si sono scusati (e perché? Temono ritorsioni internazionali?).



Forse adesso capisco perché non si vede mai gente che fa foto in questa città, che considero davvero pittoresca. E poi mi chiedo come mai l’Ambasciata americana può permettersi di mandare in giro degli sgherri a fermare la gente e chiedergli i documenti, in un paese sovrano, che ha polizie di tutti i tipi. È vero, pochi minuti prima ero passato davanti all’ingresso della loro ambasciata con la macchina fotografica in mano, ma il braccio era giù, lungo e disteso, e camminavo guardando avanti. E poi avevo camminato altri dieci minuti, mi ero fermato a fare una trentina di foto. Possibile che mi abbiano seguito tutto quel tempo, fino a lì? Per cancellare proprio la foto del rom che si scalda davanti alle fiamme del cassonetto incendiato? Mah, che dire…
Ora, mentre scrivo, qualcuno si è messo a lavorare al piano di sopra, martellate potenti proprio sopra di me, cose che cadono, detriti che scendono nella canna fumaria. Così, guardando alla mia destra, ho scoperto che anche dalla canna fumaria della cucina filtra acqua, a metà altezza, attraverso l’intonaco vedo trasudare goccioline che colano giù.
Non riesco a immaginare cosa sarà questa casa tra 10 anni (ricordate il film Brasil?). Potrebbe essere un rudere come un condominio superelegante, abitato da ministeriali e fotografi di moda, da modelle. Ma non riesco a immaginare cosa sarà Tirana tra 10 anni, non riesco a immaginare cosa sarà l’Europa, cosa sarà il mondo tra 10 anni.
Il 23 sera andiamo in una galleria d’arte (ce ne sono in tutto 3!) a ritirare delle foto che abbiamo deciso di regalarci, belle ed economiche, firmate e autenticate, ma il supporto su cui sono incollate non è uguale a quelle che avevamo visto, due le hanno tagliate storte, da un’altra manca un pezzo... Valentina, la gallerista con cui ormai ci sentiamo amici, sospira e allarga le braccia, cosa voliamo fare? A me un po’ dispiace partire, a Chiara invece no, in fondo lei c’è stata due anni e non è stato facile. 24 mattina, ultima corsa col taxista amico fino all’aereoporto, all’ingorgo in uscita dal centro fa una manovra da film e salta 200 m di coda che erano 10 minuti preziosi, arriviamo al pelo, e carichi di bagagli a mano in maniera vergognosa, ma nessuno ci dice nulla. Ciao, Albania, grazie! (Arrivare a Malpensa è come atterrare a Düsseldorf, nebbiolina, tutto è diritto, il traffico verso la metropoli scorre ordinato e noioso).