venerdì 29 febbraio 2008

Bollettino Montaonda 08


Scusate la lunghezza, ma è venuto così… giuro non lo
faccio più...

Sono tornato da Milano il 25 pomeriggio, insieme alla
carissima Federica di Roma. Porto con me la scala, la
valigia rossa e la solita macchinata di libri. Passano
due giorni senza che faccia nulla di concreto per la
casa: ieri siamo stati a Visarno per le prove dei
terraterra, oggi andiamo a Campicozzoli e venerdì o
sabato ritornerò a Milano. Così non farò in tempo a
combinare quasi nulla, anche perché devo chiudere una
traduzione, il secondo libro di Pollack, con
Boringhieri ho fissato la consegna al 15 marzo. Ieri
però siamo andati dietro la casa, a guardare il
mandorlo in fiore, oggi sto a tradurre e ora guardo
dalla finestra e scrivo. Federica è proprio la persona
– ma penso anche a me stesso, sia chiaro - cui
Montaonda si rivolge: convalescenti in cerca di
equilibrio. Mi parla delle sue sventure di salute e
del Qui Gong, o come si chiama. È incredibile come in
questa fase della mia vita si assommino e intreccino
stimoli e testimonianze verso il pensiero orientale –
che finora ho sempre accuratamente respinto.
Oggi piovicchia, e mentre scrivo guardo le volute del
fumo che esce dal camino del vicino. Il fumo fugge
portato dal vento, piegato sopra il tetto. Si arriccia
appena superato il colmo, si avvolge su se stesso in
spirali e danza, portato via e quindi sparpagliato da
una folata contraria, come si diceva un tempo: ai
quattro venti. In queste evoluzioni aeree, nelle
ascensioni del fumo, verrebbe da cercare significati,
vaticini, intepretazioni sottili e luminose. Già, a
questo non ci avevo mai pensato: il fumo, come anche
le nuvole del resto, spesso porta la luce, una luce
morbida e diffusa, una traccia di luce bianca nel
quadro della mia finestra…
Ora ho appena filmato circa 5’ di fumo e nuvole, con
un sottofondo – casuale, perché era la musica che
avevo scelto per lavorare alla traduzione prima di
interrompermi – di viola da gamba di Sainte Colombe,
nell’esecuzione di Jordi Savall. Stare qui, davanti
alla mia doppia finestra (ho deciso ormai che seconda
finestra è il nome dello schermo del computer, e gioco
ad alludere alla sua innegabile realtà-funzione da
“second life”, al suo ruolo di “terzo occhio” e alle
mie spezzettate e mai compiute rimuginazioni sulle
finestre), mi sembra un po’ come essere nella cabina
di pilotaggio di un’astronave che viaggia per le
nuvole e l’aria, per il vento e i boschi, lanciato
nell’immobilità del tempo che trascorre, che fluisce.
Di esso il fumo mi appare la visibile schiuma, schiuma
di flutti aerei che si infrangono sui fianchi del
tetto davanti a me, la propra sghemba di una nave
dalla tolda di terracotta, l’arca di Ueli (il vicino),
carpentiere nostromo di questo viaggio quasi
d’argonauti – chissà, se le schiere s’infittiranno di
cinquanta e più eroi ed eroine (questa la novità
rispetto al mito antico, molte, in maggioranza le
donne nell’equipaggio), oltre le simplegadi, i
dardanelli del colle di fronte, alla ricerca del
vello, del sampo, tanto cari al mio caro e vecchio
Meuli...
Così scorrono lungo le fiancate della mia nave fluide
correnti d’aria, onde di monte, monti di onde,
provenendo da chissà dove lambiscono i coni delle
montagne ricoperte di selve tra cui sta incastrata la
mia nave di pietra, incagliata come un’arca in attesa del
diluvio. Se i flutti provengono da babordo, e il
fumaiolo piega il suo pennacchio sciamante verso
destra, vuol dire tramontana, e le onde bianche calano
dai gioghi del nord, filtrano fin qui d’oltre
Appennino, da vastità pannoniche, ampie quanto un
emisfero, dalle terre degli sciti e dei ghiacci in
disgelo, dalla notte splendente degli iperborei,
l’aria di ghiaccio che avevo incontrato nelle pianure
e nelle selve del nord – la stessa riconosciuta e
sentita sul volto e nelle ossa sabato scorso, quando
camminando nel mezzogiorno gelido verso la vetta del
Falterona il vento sollevava aghi di ghiaccio
scintillanti, talmente freddi da non saldarsi tra
loro, così che questa neve sabbia e farina scivolava
impapabile dagli alberi, fine come fumo, senza reggere
quasi gli scarponi nella nostra salita, mentre il
respiro si raggelava in piccoli ghiaccioli sui baffi…
se i flutti invece battono da bordo, e il fumo piega a
sinistra, è lo scirocco che risale la valle, e allora
mi portano aria umida e grassa, avanzano dal basso
gocciolando i caparbi monsoni, oppure, quando c’è il
sole, le dolcezze invernali, fichi e uve, flutti
languidi di arie mediterrranee, egizie e tunisine.
Ecco, sul colmo del tetto s’incontrano le arie del
mondo, e io ne respiro lo sciamare gonfiandone i
polmoni, con la stessa attenzione che ha l’orecchio
notturno, teso, quando ascolta la voce di radio
lontane, mentre la mano poggiata alla manopola della
sintonia si muove con precisione micrometrica,
navigando in mondi d’etere – dove un millimetro è un
salto di mille e mille chilometri, attraverso
l’affollamento denso di innumerevoli frequenze - balza
e cattura le voci più lontane, le sonore e le piatte,
cupe o gracchianti, avanti e indietro, a zigzag per il
mondo, senza ordine, per tutto l’incredibile spettro e
la sorpredente varietà delle voci umane, babeliche e
sovrapposte, intervallate e interrotte, spezzate o
schiacciate da fischi schioccanti, colpi e rovesci di
scariche elettriche, onde notturne e invisibili, tra
fischi modulati, come animali nascosti e appostati nel
bosco, scovati da un movimento minimo della
mano, uguale e corrispondente, sulla lente del
cannocchiale acustico, elettromeccanico, davanti
all’occhio, all’orecchio, al polmone spalancato.
Poco fa ho ricevuto una chiamata al cellulare, mi
hanno appena confermato – la voce andava e veniva,
mentre guardavo giù dall’altra finestra, verso bordo,
verso le rocce sopra la cascata - che entro un mese i
tecnici multilink verranno a installarmi il ricevitore
wi-fi per aprire la trasmissione internet a banda
larga, via radio. Ecco, m’immagino allora la scrivania
come una navicella, una cabina di pilotaggio, da cui
navigherò immobile nel mondo, da questo
retroposto/avamposto di terra sporgente, proteso verso
boschi, anfratti, e acque, animali fruscianti, lune e
nuvole. Senza illusioni, spero: proprio come ora per
esempio, dopo che ho scritto provo a fotografare il
fumo, e ogni volta che scatto subito guardo la
foto ma la spirale, il fiocco sinuoso, non c’è più, la
sua forma mutevole nell’immobilità scompare. Blow up.
Sono sorpreso, ma per quanto scatti proprio non riesco
a bloccare un’immagine che sia figura, che corrisponda
all’inafferrabilità, all’evanescente danza del fumo.
Guardare, filmare, fotografare il fumo. Toccarlo,
ascoltarlo, sentirlo…

lunedì 4 febbraio 2008

Bollettino Montaonda n.7


Eccomi qui, con il solito ritardo. È stato un inizio
d’anno pieno di lavoro, anche qui a Montaonda,
nonostante l’acqua e le nebbie, con rari sprazzi di
sole. Le novità: Patrick ha abbattuto il muro della
stanza verde, ovvero: ha disintonacato lo sgabuzzino
sopra la scala, ha dato la ricciola (cemento?) sulle
pietre nude, poi l’intonaco e infine il velo, quindi
ha demolito la parete e scavato le scatole e tracce
elettriche nei muri. Ha tolto il cantiere mercoledì,
sabato è venuto Papero, vecchio amico della casa che
fa anche l’elettricista, e ha tirato i fili, abbiamo
discusso dove e come, non è stato facile. Io
materialmente di tutti questi lavori non ho fatto
proprio nulla, nei giorni cruciali ero a Milano, e poi
quella polvere fine mi dà un fastidio! Domani (scrivo
domenica sera) verrà Papero a chiudere le cassette e
tirare gli ultimi fili rimasti, poi chiuderemo tutto e
potrò iniziare a pulire il nuovo spazio (ecco, a me
tocca fare le pulizie). La casa è stata piena di
calcina e polvere (dappertutto!). Ora c’è odore di
cemento fresco, fa un po’ umido, se ci fosse il sole
sarebbe certamente più gradevole, ma vabbe’. Pulendo
comincerò a pensare come arredare e dipingere le
pareti. Ma con calma, come sempre. Dovrò grattare le
tracce di cemento sulle travi del soffitto. Le
meditazioni questa volta ve le risparmio, ci sono,
naturalmente, ma ho troppe altre cose per la testa,
perdonate, aspettate. Nel frattempo ho ormai portato
qui quasi tutti i dischi e i cd, lo stereo, una metà
scarsa dei libri. Anche fuori casa i lavori procedono:
Paolo e Francesco, due campicozzolini-giardinieri sono
venuti a pulire un po’ di rovi e pruni, dal pendio
informe e impenetrabile sono venute fuori tre
terrazze, anche se i muretti sono in parte crollati e
bisognerebbe rifarli. Andranno avanti appena il tempo
lo permetterà, l’obbiettivo è pulire tutto il lato
sotto casa e tirare fuori gli ulivi. Anche qui faccio
poco, ci vogliono dei professionisti se voglio dare
una svolta. Oggi ho anche svuotato un paio di cassetti
di carte, roba della fine degli anni ’90, progetti di
siti, portali, corsi interattivi, un po’ ho buttato un
po’ ho tenuto, così, per affetto. Anche tra i libri,
che nel trasporto si sono mischiati come un mazzo di
carte, cerco di ritrovare un ordine, una suddivisione
per temi, filoni, ambienti… oggi mi sono anche
concesso il lusso di suonare un po’ il sax nello
spazio vuoto, una specie di consacrazione acustica, e
devo dire che la casa risuonava in maniera
impressionante. È bello quando ci sono spazi più ampi
di una stanza, il suono prende riverberi lunghi e
suggestivi… Ah, ricordate salamah, il mostriciattolo?
Ho scoperto che si chiama salamandrina terdigitata…